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Castel Volturno: il porto, il contenzioso demaniale e la legalità

giovedì 31 maggio 2012, di redazione


Il Porto di Pinetamare (pardon: di Castel Volturno!) si ritrova ancora - e sempre - al centro della cronaca, in una nebbia di informazioni e rivendicazioni, in cui l’opinione pubblica si sperde, stenta a rintracciare il bandolo della matassa e le reali ragioni che impediscono l’inizio dei lavori. L’unica cosa chiara che emerge dalle polemiche, è che tutti vogliono il porto. E che l’attesa dell’opera, divenuta salvifica per le sorti del territorio, non è più procrastinabile, né giustificata: è solo estenuante. Sicché, quando le date di inizio si susseguono con una certa frequenza e poi si allontana il giorno della vera “prima pietra”, è naturale che si alimenti una crescente impazienza, che le interpretazioni delle cause divergano, e che si prescinda da tutto, anche da legittime rivendicazioni e dal perfezionamento delle procedure, pur di vedere l’inizio dei lavori.

L’attesa fa registrare anche un altro fatto singolare. Infatti, trattandosi di un porto in concessione al privato, l’aspettativa della gente sembra prevaricare l’interesse stesso della Concessionaria, la Società Mirabella, e diventare un’aspettativa collettiva. In questo modo, essendo in Italia molto carente l’investimento pubblico, si ripropone, fatalmente, l’antico assunto sulla iniziativa privata: ciò che va bene al privato, deve per forza andare bene alla collettività. Questo assunto, stava già alla base della Darsena S. Bartolomeo, costruita negli anni Sessanta, nello stesso letto della “Foce Vecchia”, là dove il nuovo porto ora andrà a sostituirla.

Alla fine accade, per paradosso, che anche l’inizio dei lavori venga rivendicato con più forza dalla popolazione, piuttosto che dalla stessa Concessionaria. Un poco come - fatte le debite differenze - è successo con il Centro Commerciale Giolì. Per ottenere le necessarie autorizzazioni all’apertura, i proprietari del Giolì organizzarono una “marcia” contro il Comune, alla quale aderirono centinaia di cittadini attirati dalla speranza di avere un posto di lavoro, promesso a ridosso delle elezioni. Purtroppo, dopo pochi mesi, tutto naufragò in una grande delusione, perché il Centro commerciale fu indagato per collegamenti con la camorra, e sequestrato dall’autorità giudiziaria, trascinando con sé nell’inchiesta sia i proprietari che gli amministratori dell’epoca.

Qui, al contrario, a quanto è dato capire, è la Società Mirabella che procede cautamente, con i piedi di piombo, nella paziente acquisizione di tutti i pareri, sia per conferire legittimità all’inizio dei lavori, sia per non avere successivamente problemi con gli enti competenti. E questo non sorprende, visto che per troppi anni la ex Darsena è stata al centro di un notevole contenzioso, e che ancora oggi la titolarità del suolo è soggetta a contestazione. Ma è tale e tanto il bisogno di impianti produttivi, di rilancio economico e di posti di lavoro, che c’è chi vorrebbe prescindere da tutto ciò, e magari scavalcare tutte le procedure. E’ auspicabile, perciò, che il tanto atteso porto, decolli una volta per sempre. E nella piena legalità.

Non bisogna nascondersi che tutta la vicenda rimane ancora avviluppata in un annoso contenzioso demaniale, relativo proprio al “predio” oggetto dell’insediamento. Occorre subito dire che decenni di storia demaniale, sentenze contestate e riconfermate, rivendicazioni e verifiche circa l’appartenenza dei beni di uso civico, non sono bastati per chiudere una vertenza già varie volte acclarata a favore del Comune. E ci si ritrova a ricominciare daccapo. Ma certamente non saremmo giunti a questo punto controverso, se un anno fa, l’antica rivendicazione popolare del “predio” di Foce vecchia e Sopra la marchesa, non avesse avuto una inaspettata inversione, addirittura opposta a tutta una lunga storia di lotte e di rivendicazioni sostenute dal Comune e dalla popolazione, da tempo immemore.

“Mi corre l’obbligo di ricordare” che negli anni Novanta, l’amministrazione da me guidata, alla fine di un lungo contenzioso e di un accidentato confronto in varie sedi giudiziarie, deliberò, senza ricevere in seguito alcuna contestazione, la reintegra nei beni comunali dei suddetti terreni, oggetto dell’insediamento del porto. Successivamente, fui nominato dalla Procura custode giudiziario della ex Darsena. Fu quella, una occasione epocale attesissima, una grande conquista, perché per la prima volta veniva confermata la demanialità del fondo, e chiarito che il letto della foce era stato occupato senza titolo alcuno.

Nel corso della gestione fu possibile bonificare il canale, adeguare gli impianti, bloccare gli scarichi fognari, ed avviare il porto verso una gestione pubblica. Per il Comune si aprivano inedite possibilità per individuare il tipo di gestione del porto, nonché per realizzare notevoli entrate nelle vuote casse comunali. Il Comune, insomma, aveva le carte in regola perché diventasse - direttamente o con altri - protagonista di una nuova e proficua esperienza.

Poi subentrò un’altra gestione comunale, la quale, appena un anno fa, come si diceva, accettò e favorì supinamente la tesi per la quale, il fondo apparteneva interamente allo Stato. All’amministrazione bastò l’assunto di un Commissario di governo per scavalcare Tribunali e relative sentenze passate in giudicato. In questo modo si determinò una situazione per la quale al Comune - allo stato - non spetta più niente, nemmeno il riconoscimento del diritto di uso civico. Ma per vanificare una sentenza - e ci si sono provati spesso! - ne occorre un’altra di segno opposto: è così che funziona uno Stato di diritto.

Mi sembra ovvio che di fronte a ciò, scatti l’obbligo della tutela di un bene della collettività, in coerenza con quanto fatto in precedenza. Per cui, se ancora oggi c’è chi continua a battersi per vedere riconosciuta la titolarità del Comune di Castel Volturno sul suolo destinato al porto - è questo il punto dolente! - bisogna riconoscere che sta esercitando una doverosa e legittima rivendicazione. Diciamo pure: un atto dovuto. L’omissione, oltre a mostrare totale estraneità rispetto alla storia del paese, potrebbe anche configurare un grave reato a carico dell’amministratore di turno.

C’è, purtuttavia, chi - non tenendo conto delle vicende del demanio e degli obblighi di legge - ritiene questa rivendicazione inopportuna, addirittura ostativa per la costruzione del porto. Non è assolutamente così: è una nuova vertenza tra un redivivo Stato e il Comune, che non inficia assolutamente niente. Anzi, di positivo - se proprio vogliamo sottolineare la differenza - c’è che è stato fatto un passo avanti, perché il contenzioso non è più tra il Comune e il privato, come una volta ma, appunto, tra Comune e Stato.

A proposito di contenzioso, bisogna sempre ricordare che l’attuale assetto di tanti terreni demaniali reintegrati, è il risultato perseguito proprio con lo stesso spirito di rivendicazione che si ripropone oggi: senza quel risultato, non sarebbe stato possibile nemmeno l’insediamento del porto o di altre strutture pubbliche. Ma, in ogni caso, l’esercizio di un diritto, e la legalità, non possono essere considerati praticabili a giorni alterni; oppure visti come elementi fastidiosi e urticanti, specie quando sono in gioco i beni della collettività.

Di segno diverso rispetto alla “perplessità” sul contenzioso, è stata, invece, la manifestazione di protesta attuata dai commercianti di Pinetamare, il giorno 28 maggio. Gli organizzatori, infatti, spinti da legittima “impazienza”, non contestavano la rivendicazione del suolo, ma reclamavano l’inizio dei lavori, convinti del ruolo positivo che il porto potrà esercitare per la ripartenza dell’economia. Essendo anch’io legato a questa speranza - come potrei non esserlo, dopo tanti anni e tante lotte! - vorrei osservare, a titolo di modesto contributo, che la manifestazione aveva un solo evidente limite: l’isolamento. Infatti, erano totalmente assenti gli altri cittadini del territorio.

La posta in gioco, a mio avviso, non può avere carattere né di categoria, né di quartiere. La realizzazione del porto non può essere separata da una visione unitaria dello sviluppo di Castel Volturno. Non va dimenticato, soprattutto, che il porto e altre iniziative previste nell’Accordo di Programma, sono il frutto di una vasta vertenza “territoriale” che ha visto come protagonista il Comune, la Regione, e altri uffici pubblici. Bisogna evitare, perciò, il rischio di dividersi e isolarsi, facendo prevalere il particolare interesse di una frazione su quello generale dell’intero litorale. Anche per non ricadere nell’errore antico di credere che lo sviluppo di una parte valga per il tutto. E’ esattamente il contrario, come la storia ci ha insegnato, soprattutto a Pinetamare. Può darsi che la stringente crisi economica e sociale, ancora una volta, spinga verso rivendicazioni settoriali, anche a…prescindere. Ma è pericoloso, perché ormai è chiaro a tutti che lo sviluppo si acquisisce solo a livello generale, con lotte unitarie, e nella legalità.

Vi sono, a Castel Volturno, ancora altri importanti obiettivi per cui battersi, tutti di carattere generale e aggregante, che vanno dall’adozione degli strumenti urbanistici, alla tutela dei beni ambientali, alla bonifica dei siti inquinati, al recupero del Castello e del Borgo… Ed hanno tutti un carattere prioritario. L’elenco - che pare lungo - non deve indurre a limitare le rivendicazioni, né a ritenerle irrealizzabili, perché gran parte degli obiettivi elencati, sono stati già progettati e finanziati.
Esiste, quindi, una vertenza castellana, che deve trovare il sostegno dell’intera collettività e le giuste forme di lotta. Uniti si vince!

Mario Luise

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