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Grazzanise, un paese in declino? Cosa dicono i dati Istat
2) Stranieri, istruzione, occupazione

sabato 27 gennaio 2018, di redazione


Dopo aver esaminato la composizione della popolazione e la struttura edilizia del paese, passiamo ad esaminare altri dati Istat

Stranieri

Un capitolo importante per le implicazioni socioeconomiche che sottende è quello della presenza di stranieri sul territorio comunale.
Molti si chiedono quanti sono e se esistono delle statistiche circa i cittadini stranieri, soprattutto extracomunitari, che abitano nel centro urbano ma soprattutto nelle campagne, impiegati nell’agricoltura, nell’allevamento, nell’attività manifatturiera e nel piccolo commercio.
In realtà i dati ci sono, frutto delle ultime tre rilevazioni, le quali probabilmente fotografano una realtà ‘regolare’ e non tengono conto del sommerso. Secondo l’ultima rilevazione, quella del 2011, l’incidenza dei residenti stranieri è al 38,7 per ogni mille abitanti. Tra campagna e città, tra capoluogo e frazioni sono presenti da noi più di 274 stranieri! Allora quel dato iniziale secondo cui la popolazione del Comune di Grazzanise è cresciuta fino a 7085 abitanti nasconde una verità diversa e più preoccupante, che cioè i grazzanisani di origine sono diminuiti non in percentuale ma in numero assoluto rispetto al 1991, quando risultavano 15 stranieri e quindi 6923 locali.
Da allora si sarebbe registrata una diminuzione di 112 abitanti, sia per effetto di un calo demografico e sia per l’emigrazione dei più giovani. Il numero di grazzanisani del 2011 è lo stesso del 2001 e temiamo che la situazione sia peggiorata nei successivi 6-7 anni.

Tornando ai cittadini stranieri, a un primo arrivo di ‘single’ è succeduto un arrivo di famiglie. I minori al seguito di gruppi familiari rappresentano il 13,5% della della popolazione infantile residente.
Ci sono anche casi di coppie miste che rappresentano lo 0,7% del totale delle coppie residenti.
I lavoratori stranieri fanno registrare un tasso di occupazione del 69,4%. Il settore in cui trovano occupazione gli stranieri è la campagna, tra agricoltura e allevamento bufalino, e vanno ad occupare posti lavorativi non più ricercati dai locali.

Istruzione

Per quanto riguarda l’istruzione superiore c’è stata una positiva evoluzione nel rapporto tra maschi e femmine. Se nel 1951, il differenziale di genere era al 296,4, aumentato al 313 nel 1961, in seguito è andato riequilibrandosi per cui oggi il numero degli studenti e delle studentesse è quasi equivalente (c’è solo una leggera prevalenza dei primi sulle seconde).

Il numero degli adulti con diploma/laurea è andato gradualmente aumentando attestandosi nel 2011 al 83,7%. Parimenti è andato scemando il numero degli analfabeti dal 22,5 nel 1951 al 2,5 nel 2011.

Tuttavia questo andamento positivo è in parte indebolito dai dati relativi all’uscita precoce dal sistema di istruzione, che, nonostante si sia dimezzata rispetto al 1981 (primo anno rilevato), appare pur sempre di una certa entità (22,4%), meritevole di attenzione.

Gli altri dati disponibili per il settore dell’istruzione mostrano tutti un andamento positivo. Il processo di scolarizzazione nel corso dei decenni presi in esame è andato avanti a un buon ritmo così come l’acquisizione di titoli di studio superiori. L’incidenza di diplomati/laureati negli ultimi 60 anni è passata da 1,9% a 30,2%.

Bisogna vedere se questi risultati si traducono in maggiori opportunità lavorative e in un più agevole inserimento nel ciclo produttivo e non, viceversa in disoccupazione intellettuale e in fattore di nuova emigrazione. A questo proposito non abbiamo al momento dei dati certi, ma è sotto gli occhi di tutti il fenomeno migratorio delle migliori energie verso altre regioni, con conseguente impoverimento sotto ogni punto di vista per il nostro paese.

Occupazione

La partecipazione al mercato del lavoro fa registrare un calo sia per i maschi che per le femmine posizionandosi rispettivamente al 61% e al 26,4%. L’elemento femminile partecipa solo per un terzo.
Altro dato negativo è l’incidenza dei giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano. Pur facendo registrare un lieve decremento tra il 1991 e il 2011, è ancora troppo alto il numero di tali individui (36,9%).

Tenendo conto dell’intervallo tra il 1981 e il 2011, il tasso di disoccupazione maschile è sceso dal 28,3% al 13,6%. Per le donne i valori sono più alti. La disoccupazione era al 55,8% nel 1981 ed è scesa al 29,4% nel 2011.

Il tasso di disoccupazione giovanile in questi anni ha fatto registrare un andamento altalenante. Ha avuto un picco dell’80,8% nel 1991 e si è poi attestato sul 42,3% nel 2011.

Anche per quanto riguarda il tasso di occupazione le rilevazioni sono impietose. Per i maschi si è passati da un 79,3% nel 1951 a un 52,7% nel 2011. Per le femmine il tasso di occupazione era del 36,7% nel 1951 ed è sceso al 18,7% a distanza di 60 anni.
Quello complessivo è sceso dal 57% del dopoguerra al 35,3% di oggi.

Un altro aspetto duro da digerire è l’indice di ricambio occupazionale e il tasso di occupazione per la fascia 15-29 anni.
Il ricambio occupazionale è dato dal rapporto percentuale degli occupati di oltre 45 anni su quelli di 15-29 anni. Se nel 1971 tale rapporto era all’80,5%, nel 2011 è al 189%.
A sua volta il tasso di occupazione per i giovani fino a 29 anni è sceso dal 48% al 28%. Dati impietosi ma chiari che spiegano il disagio e l’incertezza in cui vivono i giovani oggi.

Se volgiamo lo sguardo ai vari settori produttivi vediamo che nell’agricoltura si è verificato il cambiamento più forte. Si è passati infatti dal 77,2% del dopoguerra al 18,2% attuale. Un abbandono costante delle campagne che però all’ultima rilevazione ha fatto registrare un lieve aumento rispetto al 16,6% del 2001.
Nel settore industriale c’è stato un graduale aumento dell’occupazione fino al 1981 (31,6%), poi è iniziata una lenta discesa fino al 18,8% nel 2011. Il settore terziario mostra invece un aumento dal 4,4% del 1951 al 46,8% nel 2011.
In questo settore l’occupazione femminile ha avuto la performance migliore passando dall’1,8% al 63,7%.
Anche il commercio ha modificato gradualmente i propri numeri passando dal 4,4% al 16,1%.

Risalgono solo al 1991 i dati più vecchi circa l’incidenza dell’occupazione in professioni ad alta-media specializzazione anche se si tratta del ventennio in cui si è verificata l’esplosione digitale e tecnica. Tale incidenza è passata dal 14,5% al 20,7%. A sua volta quella in professioni artigiane, operaie e agricole è scesa dal 41,7% al 20,2%, mentre quella in professioni di basso livello di competenza è aumentata dal 14% al 28,2%.

In conclusione, quale è la situazione che emerge da questi dati? In un quadro di sofferenza generalizzata a causa del basso tasso occupazionale, sono i giovani ad avere le maggiori difficoltà, i quali, a fronte di una scolarizzazione superiore, hanno difficoltà a trovare una loro collocazione lavorativa.
Inoltre proprio la diffusione dell’istruzione superiore sembra determinare un calo del tasso di occupazione in un settore particolare come l’agricoltura la cui capacità di assorbimento si rivolge alla manovalanza straniera.

Le rilevazioni a partire dal 1981 dedicano un capitolo anche alla mobilità, quella per studio e lavoro, innanzitutto, aumentata dal 45,5% al 51,2%. All’interno di questa viene considerata la mobilità fuori comune passata dal 16,7 al 22,9.
Sia la mobilità occupazionale che quella studentesca presentano un andamento incostante. Nell’ultimo rilevamento esse si attestano rispettivamente al 124,1 e al 49,4.
Infine una curiosità: per spostarsi, il 55,6% utilizza un mezzo privato, l’11,3% utilizza un mezzo pubblico, mentre il 29% va a piedi o in bicicletta.

Al termine di questa breve carrellata tra i numeri dell’Istat l’impressione iniziale di un paese in crisi non viene smentita ma suffragata: calo demografico, calo delle opportunità, ricerca di un proprio percorso in altre realtà geografiche, invecchiamento della popolazione residente, vita sociale, sportiva, culturale quasi del tutto inesistente salvo lodevoli eccezioni, capacità intellettuali di cui non usufruisce il paese, economia ridotta all’osso, basata essenzialmente su pensioni e stipendi. Compensazione numerica del calo demografico con l’aumento di cittadini stranieri senza che, peraltro, si sia sviluppata alcuna forma di integrazione, due mondi che vivono separati anche se non ostili.
Un paese che, dopo le speranze suscitate dal ventilato insediamento dell’aeroporto civile, sfruttato intensamente per anni dalla propaganda politica, si ritrova più debole e più povero.
Ce la farà a risollevarsi?

frates

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