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M. Luise - L’ente locale: la mia esperienza tra autonomia e federalismo (I)

giovedì 28 novembre 2019, di redazione


Abbiamo il piacere di presentare in due parti il resoconto dell’esperienza amministrativa dell’ex sindaco di Castel Volturno Mario Luise mentre, per una pura coincidenza, è in programma per Venerdì 29 novembre, a Caserta, un seminario dell’Ordine dei Dottori Commercialisti sulla Revisione negli Enti Locali, di cui diamo conto nella ’breve’ in alto.
Nel suo racconto l’ex esponente del PCI fa una disamina dettagliata, basandosi su esempi concreti, dei problemi che un Amministratore locale si trovava ad affrontare negli anni 70-90 del secolo scorso.

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Negli anni Settanta sono stato Responsabile degli Enti Locali per la Federazione del PCI di Caserta. Allora, nell’intera provincia, eravamo solo due i sindaci comunisti: io e Antonio Romeo, sindaco di Sparanise. Appena eletto, mi coinvolsi subito in una impegnativa e inedita gestione del Comune di Castelvolturno, molto totalizzante, senza un momento di sosta (Edilizia abusiva, occupazioni demaniali, chiusura cave, camorra …). Ciononostante, o forse proprio per questo, mi appassionavo alle tematiche degli Enti locali. Leggevo Il Potere locale, mi iscrissi alla Lega per le autonomie locali, e seguivo ogni iniziativa che mi potesse far guardare oltre l’affanno quotidiano.
Dai vorticosi problemi del territorio, traevo quotidianamente il convincimento che il Comune avrebbe avuto più speditezza nella gestione della cosa pubblica, se fosse stato più dinamico, se non fosse stato imbrigliato in un vecchio ed opprimente sistema di regolamenti, lunghe procedure e controlli esterni che, di fatto, lo rendevano lento e subalterno: alla Prefettura, innanzitutto, e poi agli Uffici periferici. Ad essi, allora, erano demandate moltissime competenze dello Stato.
Agli inizi degli anni Settanta, il controllo sugli atti era ancora di competenza della Prefettura (GPA), diretta emanazione del Governo centrale. A quei tempi la Democrazia Cristiana controllava tutte le assegnazioni dei Prefetti ai vari capoluoghi di provincia, sicché fatalmente ci si imbatteva in funzionari molto “governativi”, spesso troppo legati al parlamentare locale di turno. Per un sindaco comunista, allora, il rapporto non era agevole, specie in provincia di Caserta, dove non c’erano precedenti esperienze di amministrazioni “rosse”. E non lo fu per me che spesso vedevo come sugli atti si facesse una valutazione politica e di merito, piuttosto che di legittimità.
A parte la fatica di ogni anno per farsi approvare il bilancio - pena lo scioglimento del consiglio - ricordo lo sconcerto della Prefettura quando, sia detto solo per mero esempio, per la prima volta in Provincia deliberammo di nominare le “vigilesse”; oppure di far entrare nell’organico del comune anche le donne dattilografe, riservando loro dei posti: una sorta di anticipazione delle “quote rosa”. L’apertura alle donne non era affatto concepita. Un’altra impresa, fu sostenere le spese destinate alla demolizione degli abusi edilizi, o alla reintegra della Darsena, oppure al recupero del Demanio.
Altri problemi sorsero con la revoca di appalti e affidamenti di servizi precedentemente deliberati. L’affidamento all’Esattoria, per esempio, in tempi d’oro per il gettito dell’IGE (Imposte generali Entrate) era stato concesso per la cifra scandalosa di 22 milioni, senza che, in questo caso, scattasse il controllo. Noi revocammo l’appalto e lo portammo a 130 milioni, cifra più equa e conforme al gettito reale di un territorio in preda a migliaia di costruzioni. Un “scandalo” suscitò la modifica apportata al ruolo della “Tassa di famiglia": nell’elenco del Comune non figurava nessuno dei più facoltosi imprenditori di Castelvolturno. Apriti cielo! Una serie di iniziative ci consentirono di portare il bilancio da 60 milioni (con il contributo dello Stato), a cinquecento milioni in un anno, e poi a circa 1 miliardo per la fine della gestione, senza ricorrere a mutui. Tutto ciò, paradossalmente, era sfuggito al controllo di allora. Il Comune, già da prima, quindi, aveva potenzialità per un’autonomia economica, ma non realizzava le entrate.
Tra le mie tante esperienze di controlli distratti, e a volte repressivi sul governo locale, ricorderò quella di un Prefetto rimosso per “legittima suspicione” per via dell’atteggiamento “severo” avuto nei nostri confronti durante tutta la gestione, atteggiamento che sfociò nello scioglimento del Consiglio comunale. Fu un caso molto particolare per via dei conflitti apertisi nei confronti degli abusi edilizi e delle occupazioni demaniali. Tuttavia, non me la sento di affermare che altrove, al di là del condizionamento ministeriale, i Prefetti fossero tutti da condannare: era il sistema. Nella mia esperienza, ho dovuto aspettare gli anni Novanta, con il Prefetto Luigi Damiano, per considerare finalmente la Prefettura, il Palazzo del governo, una sede con le porte aperte a tutti.
Maturavo, perciò, una coscienza del ruolo del Comune molto diverso da quello tradizionale. Mi rendevo conto che era difficile imprimere efficacia ed efficienza all’attività amministrativa sotto la mannaia del controllo, e senza la necessaria autonomia nelle scelte politiche e programmatiche. Era possibile, dunque, un altro modo di concepire e far funzionare i Comuni nell’interesse delle comunità?
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Mario Luise

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