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Il trasformismo impera

venerdì 5 febbraio 2010, di redazione


In questi ultimi anni si è andato sempre più affermando quel fenomeno politico, già definito a fine ‘800, che va sotto il nome di trasformismo.
Soprattutto negli ultimissimi tempi assistiamo quasi quotidianamente a passaggi di schieramento, cambi di casacca, ripensamenti, riflessioni, ricerche di nuove vie, riposizionamenti, tradimenti, abbandoni…

Leggiamo in Wikipedia: “Trasformismo: nella politica la capacità di assumere repentinamente posizioni differenti e/o alternative a quella immediatamente precedente (sinonimo: gattopardismo).
… è una pratica politica che consiste nell’abbandono e nell’annullamento della tradizionale dialettica e differenza ideologica fra le varie parti politiche all’interno del Parlamento per costituire nuovi gruppi politici;
…Il trasformismo è quindi anche la capacità di repentini cambiamenti di linea all’interno di uno schieramento politico

La fine delle ideologie, dopo la caduta del Muro di Berlino, ha comportato da un lato l’allentamento o l’azzeramento della disciplina di partito, della coerenza personale e collettiva, dello spirito di appartenenza e dall’altro l’emergere dell’individuo, della concretezza (la “politica del fare”) sulla liturgia degli schieramenti, la lotta di potere fine a se stessa, senza il corredo (o la scusa) dell’apparato culturale e filosofico, la nascita di partiti personali, ecc.
A questo si accompagna la generale confusione sul piano ideale, assistiamo alla conquista da parte della destra di temi e idee considerate fino a ieri di sinistra e nello stesso tempo all’entrata della sinistra su terreni tradizionali della destra.
Una confusione che ovviamente fa perdere ai cittadini la barra della navigazione. (Ma attenzione, come insegnava Norberto Bobbio, le contraddizioni sono dietro l’angolo, i concetti di destra e sinistra tornano a galla quando si devono affrontare argomenti particolarmente delicati).

E quando le cose non vanno come si desidera, quando la conquista delle posizioni di potere appare troppo faticosa o incerta, o quando si ritiene che c’è maggiore convenienza nel trasloco in altri edifici, non si ha remora alcuna a passare con quelli che fino al giorno prima erano avversari (se non nemici).
Gli esempi sono innumerevoli. E’ inutile fare i nomi tanto i lettori li conoscono. Una caterva di personaggi di estrazione di sinistra oggi convivono beatamente con la destra (forse le ossa dei padri si staranno agitando nelle tombe) ma non mancano quelli che hanno fatto il percorso inverso.
C’è chi scopre l’opposizione al capo dopo averne favorito l’assestamento, presentandosi all’opinione pubblica con una nuova verginità, e chi lascia un grande partito per formare un partitino allo scopo di “unire” lo schieramento, ecc, ecc.

Se poi si scende a livelli inferiori, regionali e provinciali, lo spettacolo è ancora più deprimente (si osservi quello che sta accadendo per le candidature). Lotta senza quartiere, senza esclusione di colpi, abbandoni e minacce d’abbandoni, alleanze trasversali, ecc, e ogni giorno si rimette in discussione quello che era stato faticosamente deciso il giorno prima. La regola è: movimento. Più si ridiscute più c’è speranza di farsi i fatti propri.
Grazie a una legge elettorale “porcata”, secondo la definizione di chi l’ha ideata, il personale politico viene scelto dagli apparati e non dai cittadini. D’altra parte l’invenzione delle primarie, che pure sono un grande strumento di democrazia, deve fare i conti con lo spirito di rivalsa dei perdenti, i quali non esitano ad “abbandonare la nave” perché “non è più il mio partito”.

E a livello paesano? Lo spettacolo non cambia, anzi se possibile è peggio. Per una ciotola di lenticchie ci si accapiglia, si tentano e si sfasciano accordi, tutti contro uno, e gli uni contro gli altri. E non si bada alla qualità delle compagnie, alle parentele politiche, al ceppo ideologico e a tanti altri orpelli che all’uopo vengono riesumati per le allodole. “Tutto fa brodo”, come diceva una vecchia pubblicità. Il fine è il potere. Chi ce l’ha vi resta abbarbicato con tutte le proprie forze, pronto a difenderlo con le unghie e con i denti. Chi non ce l’ha, altrettanto ferocemente ringhia per impadronirsi dell’osso.

Il problema è che non si mettono d’accordo sulle porzioni da addentare. L’aspirazione a farla da padrone condiziona ogni spirito costruttivo e a breve distanza dalle elezioni (28 e 29 marzo) il quadro “politico” è parcellizzato e incerto. E anche qui capita di vedere il diavolo e l’acqua santa insieme (ma non si sa quale sia l’acqua santa), anche qui vediamo veti, sgambetti, egoismi, narcisismi, ostruzionismi, tutti ismi che vanno sotto il nome di facciata della “Pari dignità”. E nessuno che abbia uno straccio di idea per migliorare questo paese.

E’ lontano assai il tempo di Cincinnati, il quale, chiamato a servire la patria nell’emergenza, se ne tornò in buon ordine ai suoi campi dopo aver assolto il suo compito, bastandogli il riconoscimento della Storia. Qui la Storia non interessa nessuno, non ha mai interessato nessuno. Il comando che, come si dice, è più bello del f…, è stato sempre il primo e unico pensiero. E al diavolo la coerenza e il servizio alla collettività, sono cose d’altri tempi! Forse!

frates

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