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Giorno della Memoria

Primo Levi: "L’antisemitismo è un tipico fenomeno di intolleranza"

martedì 26 gennaio 2021, di redazione


Il 27 gennaio ricorre il Giorno della Memoria, istituito per ricordare le vittime della Shoah. Nell’occasione proponiamo, come ogni anno, una pagina per stimolare la riflessione su uno dei fatti più tragici della prima parte del ‘900, lo sterminio di 6 milioni di ebrei nei campi nazisti. Stavolta presentiamo una risposta di Primo Levi a una delle domande dell’intervista acclusa al suo libro più famoso, “Se questo è un uomo” nell’edizione Mondadori/De Agostini.

Domanda: Come si spiega l’odio fanatico dei nazisti contro gli ebrei?

Risposta: L’avversione contro gli ebrei, impropriamente detta antisemitismo, è un caso particolare di un fenomeno più vasto, e cioè dell’avversione contro chi è diverso da noi. E’ indubbio che si tratti, in origine, di un fatto zoologico: gli animali di una stessa specie, ma appartenenti a gruppi diversi, manifestano fra di loro fenomeni di intolleranza... Ora, l’uomo è certamente un animale sociale (lo aveva già affermato Aristotele): ma guai se tutte le spinte zoologiche che sopravvivono nell’uomo dovessero essere tollerate! Le leggi umane servono appunto a questo: limitare gli impulsi animaleschi.
L’antisemitismo è un tipico fenomeno di intolleranza. Perché una intolleranza insorga, occorre che fra i due gruppi a contatto esista una differenza percettibile: questa può essere una differenza fisica (i neri e i bianchi, i bruni e i biondi), ma la nostra complicata civiltà ci ha resi sensibili a differenze più sottili, quali la lingua, o il dialetto, o addirittura l’accento (lo sanno bene i nostri meridionali costretti a emigrare al Nord); la religione, con tutte le sue manifestazioni esteriori e la sua profonda influenza sul modo di vivere; il modo di vestire o gesticolare; le abitudini pubbliche e private. La tormentata storia del popolo ebreo ha fatto sì che quasi ovunque gli ebrei manifestassero una o più di queste differenze.
Nell’intrico, estremamente complesso, dei popoli e delle nazioni in urto fra loro, la storia di questo popolo si presenta con caratteristiche particolari. Esso era (ed è in parte tuttora) depositario di un legame interno molto forte, di natura religiosa e tradizionale… le colonie ebraiche… rimasero sempre ostinatamente fedeli a questo legame, che si era andato consolidando sotto la forma di un immenso corpo di leggi e tradizioni scritte, di una religione minuziosamente codificata, e di un rituale peculiare e vistoso, che pervadeva tutti gli atti della giornata. Gli ebrei, in minoranza in tutti i loro stanziamenti, erano dunque diversi, riconoscibili come diversi, e spesso orgogliosi (a ragione o a torto) della loro diversità: tutto questo li rendeva molto vulnerabili, ed infatti furono duramente perseguitati, in quasi tutti i paesi e in quasi tutti i secoli; alle persecuzioni gli ebrei reagirono in piccola parte assimilandosi, ossia fondendosi con la popolazione circostante; in maggior parte, emigrando nuovamente verso paesi più ospitali. In tal modo si rinnovava però la loro “diversità”, che li esponeva a nuove restrizioni e persecuzioni…

In Germania, per tutto il secolo scorso una serie ininterrotta di filosofi e politici avevano insistito in una teorizzazione fanatica, secondo cui il popolo tedesco, per troppo tempo diviso e umiliato, era depositario del primato in Europa e forse nel mondo, era erede di remote e nobilissime tradizioni e civiltà, ed era costituito da individui sostanzialmente omogenei per sangue e per razza. I popoli tedeschi avrebbero dovuto costituirsi in uno stato forte e guerriero, egemone in Europa, rivestito di una maestà quasi divina.
Questa idea della missione della Nazione Tedesca sopravvive alla disfatta della prima guerra mondiale, ed esce anzi rafforzata dall’umiliazione del trattato di pace di Versailles. Se ne impadronisce uno dei personaggi più sinistri ed infausti della Storia, l’agitatore politico Adolf Hitler. I borghesi e gli industriali tedeschi porgono orecchio alle sue orazioni infiammate: Hitler promette bene, riuscirà a deviare sugli ebrei l’avversione che il proletariato tedesco tributa alle classi che l’hanno condotto alla sconfitta e al disastro economico. Nel giro di pochi anni, a partire dal 1933, egli riesce a trarre partito dalla collera di un paese umiliato e dall’orgoglio nazionalistico suscitato dai profeti che l’hanno preceduto, Lutero, Fichte, Hegel, Wagner, Gobineau, Chamberlain, Nitzsche: il suo pensiero ossessivo è quello di una Germania dominatrice, non nel lontano futuro ma subito; non attraverso una missione di civiltà, ma con le armi. Tutto ciò che non è germanico gli appare inferiore, anzi detestabile, ed i primi nemici della Germania sono gli ebrei, per molti motivi che Hitler enunciava con furore dogmatico: perché hanno sangue “diverso”; perché sono imparentati con altri ebrei in Inghilterra, in Russia, in America; perché sono eredi di una cultura in cui si ragiona e si discute prima di obbedire, ed in cui è vietato inchinarsi agli idoli, mentre lui stesso aspira ad essere venerato come un idolo, e non esita a proclamare che “dobbiamo diffidare dell’intelligenza e della coscienza, e riporre tutta la nostra fede negli istinti”. Infine, molto fra gli ebrei tedeschi hanno raggiunto posizioni chiave nell’economia, nella finanza, nelle arti, nella scienza nella letteratura: Hitler, pittore mancato, architetto fallito, riversa sugli ebrei il suo risentimento e la sua invidia di frustrato.
Questo seme d’intolleranza, cadendo su un terreno già fertile, vi attecchisce con incredibile vigore ma in forme nuove. L’antisemitismo di stampo fascista, quello che il Verbo bandito da Hitler risveglia nel popolo tedesco, è più barbarico di tutti i precedenti: vi convergono dottrine biologiche artificiosamente distorte, secondo cui le razze deboli devono cedere davanti alle forti; le assurde credenze popolari che il buon senso aveva sepolte da secoli; una propaganda senza soste. Si toccano estremi mai sentiti prima. L’ebraismo non è una religione da cui ci si può allontanare col battesimo, né una tradizione culturale che si può abbandonare per un’altra: è una sottospecie umana, una razza diversa e inferiore a tutte le altre. Gli ebrei sono solo apparentemente esseri umani: in realtà sono qualcosa di diverso: di abominevole e indefinibile, “più lontani dai tedeschi che le scimmie dagli uomini”; sono colpevoli di tutto, del rapace capitalismo americano e del bolscevismo sovietico, della sconfitta del 1918, dell’inflazione del 1923; liberalismo, democrazia, socialismo e comunismo sono sataniche invenzioni ebraiche, che minacciano la solidità monolitica dello Stato nazista.
Il passaggio dalla predicazione teorica all’attuazione pratica è stato rapido e brutale. Nel 1933, solo due mesi dopo che Hitler ha conquistato il potere, nasce Dachau, il primo Lager. Nel maggio dello stesso anno si accende il primo rogo di libri di autori ebrei o nemici del nazismo (ma più di cento anni prima Heine, poeta ebreo tedesco, aveva scritto.: “Chi brucia i libri finisce presto o tardi col bruciare uomini”). Nel 1935 l’antisemitismo viene codificato in una monumentale e minuziosissima legislazione, le Leggi di Norimberga. Nel 1930, in una sola notte di disordini pilotati dall’alto, vengono incendiate 191 sinagoghe e distrutti migliaia di negozi di ebrei. Nel 11939 gli ebrei della Polonia testé occupata vengono rinchiusi nei ghetti. Nel 1940 viene aperto il Lager di Auschwitz. Nel 1941-42 la macchina dello sterminio è in piena azione: le vittime saliranno a milioni nel 1944.

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