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"Quanne i suone addeventano parole"

domenica 20 dicembre 2009, di redazione


Castelvolturno - Il panorama della poesia dialettale registra una nuova entrata: Francesco Di Napoli, 64 anni, di Castelvolturno, operatore e animatore culturale, che per quelle sfortunate quanto misteriose decisioni del destino ha dovuto sperimentare su di sé il dramma della solitudine trovando però la forza del riscatto, la voglia di conoscenza e la generosa disponibilità verso gli altri.

Di Napoli è un autodidatta, nel senso più nobile della parola, è riuscito, pur senza titoli accademici, a ‘farsi una cultura’ trovando nell’arte della rappresentazione e della parola la propria dimensione.
A chi lo chiama poeta risponde: “Io non mi sono mai considerato uno scrittore e tanto meno un poeta, mi è sempre bastato leggere alcuni di questi miei scritti nelle occasioni che si presentavano tra amici. Le emozioni e anche la commozione che suscitavano quei suoni-parole era per me la migliore gratificazione”.
E ancora: “il dialetto castellano utilizzato non è stata una scelta voluta ma dettata dalla mia disponibilità mentale e culturale. Io, infatti, appartengo alla generazione del quattro in italiano, che per noi bambini era una vera e propria lingua straniera. La militanza politica nel PCI mi ha poi spronato a migliorare la mia cultura, la lingua, a parlare in pubblico e a scrivere. A me questo non sembra poco”.

Venerdì 18 dicembre, nella chiesa dell’Annunziata di Castelvolturno, è stata presentata la sua raccolta “Quanne i suone addeventano parole”(edito dalla Biblioteca Parrochiale Don Milani), in dialetto castellano, come ci tiene a precisare. Si tratta di liriche composte in lunghi anni e disperse, “spartogliate” in agende, diari e fogli sparsi.

Il parroco Don Ernesto Branco ha aperto il giro degli interventi augurandosi che “da serate come questa, attraverso la poesia, il pubblico possa tornare a casa più sereno, più formato”. Nel rappresentare l’amore dell’autore per Castelvolturno, il prelato, utilizzando una metafora, ha affermato che Di Napoli, con le sue poesie, ha "segnato" il proprio spazio così come fa il “cane che segna il proprio territorio con la pipì”.

E’ seguito l’intervento di Lorenzo Marcello, uno dei sostenitori dell’iniziativa editoriale, il quale ha tra l’altro affermato: “Francesco si esprime in mille modi, mai scontati, mai manierati, mai pesanti. Egli parla il linguaggio diretto che è sincero ma non è mai duro. Il suo essere tende alla profondità ma, con pudore che è il sintomo della sua timidezza, si presenta con la patina dell’umorismo, spesso dell’ironia, mai del sarcasmo.- Francesco non è solo tenero nel narrare in versi, nel vernacolo colorato e corposo del popolo, è anche triste, a volte disperato, è umano, è realista, umile, innamorato”.

Ha parlato, poi, Alberto Esposito, il quale ha collaborato col prof. A. Caprio alla revisione dei testi e, da ricercatore di cose locali, ha esaminato alcune liriche per trarne spunti sul vissuto di Castelvolturno, rimarcando l’importanza del fiume e illustrando la tesi che tutte le chiese del comprensorio sono rivolte verso il Volturno. “Ammore, dulore, culore - ha affermato – sono i tre momenti che permeano tutta la poesia di Francesco in modo trasversale, le riflessioni sull’esistere, sulla storia, sull’amore, sulla madre e il padre, e non solo gli argomenti ma anche la forma, la struttura stessa delle poesie, sono tutti permeati da questi tre elementi a cui aggiungerei la musica che resta un motivo di fondo a tutto, ma che è già compreso nel “culore”, cioè il colore delle parole soprattutto quelle antiche”.

Un articolato intervento è stato quello del prof. Giammichele Abbate il quale trova nell’opera di Francesco “una vita intera ed un mondo intero; in essa si baciano e si abbracciano cielo e terra, caratterizzata, quest’ultima, dalla forte presenza dell’acqua che contiene, tra mare e fiume un intero territorio. E poi: il Dio Volturno, l’amore sviscerato per questo posto dove la radici ci abbarbicano alla terra impedendo di lasciarla...
Tutto si stempera e diviene melodia nella poesia di Francesco. I contorni sfumano, i margini sono sempre più evanescenti, il chiaro e lo scuro sono contigui, come il bene e il male, talora espressione di un unicum, l‘uomo, dentro il quale la battaglia eterna sembra non arrestarsi e dove le paure antiche, espressione di un elemento ancestrale, ancora presente in noi sebbene in modo irrazionale, riemerge a rievocare scenari dove la ragione ancora non aveva pieno diritto di residenza
”.

Il prof. Alfonso Caprio, da parte sua, ha affermato che Francesco di Napoli “appartiene a quella schiera di antichi poeti dialettali, che svolgevano nelle comunità agricole pastorali svariati mestieri dai pastori ai barbieri, dai sarti ai contadini, che, ne secoli passati, hanno assicurato nel tempo, con le loro effimere opere, la cultura popolare di una società, che altrimenti sarebbe andata dispersa, effimere perché molte volte non considerate opere letterarie degne e pertanto ignorate dagli studiosi di lingua italiana colta”.
Il noto studioso, partendo dalle varie poesie, ha tracciato i lineamenti artistici e spirituali del poeta e ha fatto emergere il piccolo mondo antico di Castelvolturno attraverso le vicende dei suoi personaggi diventati mitici. Dalla sua analisi minuziosa e precisa viene fuori come una rappresentazione teatrale in cui ogni protagonista ha la sua funzione e il suo carattere e tutti insieme rivelano un affresco genuino della società.

Ai vari interventi si sono alternati momenti musicali curati da Gaetano Tebaldi (cantante) e Francesco Noviello (piano) e interessanti inserimenti dell’autore che ha declamato alcune liriche e ha raccontato qualche aneddoto, non esimendosi dall’aprire il suo cuore alla platea (“L’amore mi ha attraversato ma sono stato incapace di formarmi una famiglia. Questo è uno dei tanti fallimenti della mia vita”)
I brani eseguiti erano proprio delle liriche di Francesco Di Napoli messe in musica.

L’evento culturale si è concluso con alcuni interventi dalla platea. Si sono avvicendati il prof. Antonio Noviello, il presidente dell’Associazione Cultura e Società, A. De Francesco, e l’ex Sindaco di Castelvolturno, Mario Luise, che ha svolto un ragionamento molto interessante e pertinente.
L’ex primo cittadino ed esponente di primo piano del PCI degli anni ’70-’80 si è detto coinvolto nella vicenda umana ed artistica dell’autore. “Sono 40 anni – ha spiegato - che tanti ragazzi approdarono al PCI con la mia complicità. Si trattò di un accrescimento culturale, sociale e civile. Quei ragazzi hanno poi prodotto culturalmente e in questo sono stati più fortunati di me”.
E’ quasi un amarcord di quello che fu e sarebbe potuto essere: “Anch’io, contemporaneamente all’attività politica, scrivevo, ma pur avendo una buona capacità di parlare alla gente dei problemi concreti ho sempre avuto una certa ritrosia a esternare i sentimenti. A Francesco devo dare atto di non aver avuto queste inibizioni” e ha così concluso: “Parlare di questo libro per categorie è secondario, quello che è notevole è che dentro c’è il coraggio di parlare di se stesso”.

Quest’ultima affermazione può benissimo riassumere il significato dell’opera di Francesco Di Napoli.

franco tessitore

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