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TERZA PAGINA

Sette poetesse per la Festa della Donna a Pignataro M.

Un recital di musica e poesia degli Amici della Musica

domenica 1 marzo 2009, di redazione


Domenica 8 Marzo 2009 Ore 19.00, presso la Sala Concerti nel Palazzo Vescovile di Pignataro M., L’Associazione Culturale "Amici della Musica" organizzerà un "Recital" di Musica e Poesia in occasione della Festa della donna.

Musica
Luisa Marrapese - Flauto
Vincenzina Palmesano - Pianoforte
Rossella Vendemia - Pianoforte
Nicoletta Vito - Flauto

Poesia
Mariarosaria Bernard
Roberta Garofolo
Antonella Izzo
Katia Mercone

Le poesie sono di:
Antonella Anedda
Patrizia Cavalli
Maria Angela Gualtieri
Margherita Guidacci
Vivian Lamarque
Alda Merini
Patrizia Valduga

Mariangela Gualtieri è la poetessa di versi che contengono assieme il suono della parola che sa di dover essere detta, lo splendore di immagini che sanno di doversi manifestare sbalzando fuori dal ritmo, dal respiro, dal corpo e dalla voce. Da vent’anni Mariangela mette nella sua poesia tutto questo per i suoi giovani attori, gli attori della compagnia Valdoca fondata assieme al regista Cesare Ronconi. Forgia parole ritmiche, volatili o consistenti, che escono dal corpo di quegli attori. Per una volta, però, la Gualtieri entra da sola nella musica dei suoi versi, per “tenere le parole nel loro stato di nascita”. Nasce allora Misterioso Concerto, uno spettacolo che deve il suo titolo a una poesia di Clemente Rebora ed entra negli abissi di una voce, di una presenza, di un’intesa: quella fra la poetessa al microfono, un musicista al pianoforte che svela le singolarità di una voce, ne sostiene il respiro, ne alleggerisce gli ingombri di senso. Completano il quartetto in scena, un fonico attento e sensibile, e Cesare Ronconi, che questa volta - spiega la Gualtieri - “ è molto più un maestro e un direttore d’orchestra che un regista: col suo orecchio sismografico mi guida nei segreti del suono, ci richiama spessissimo all’attenzione piena, alla dedizione, alla libertà (tre stati difficili da tenere insieme), lega ogni elemento visibile e invisibile, udibile e inaudibile, in ciò che dovrà essere in fine il nostro Misterioso Concerto. Tutto per ‘fare cuore’ con chi ascolta, farsi suo talismano”.

1.
Bambina mia,
Per te avrei dato tutti i giardini
del mio regno, se fossi stata regina,
fino all’ultima rosa, fino all’ultima piuma.
Tutto il regno per te.
E invece ti lascio baracche e spine,
polveri pesanti su tutto lo scenario
battiti molto forti
palpebre cucite tutto intorno. Ira
nelle periferie della specie. E al centro ira.
Ma tu non credere a chi dipinge l’umano
come una bestia zoppa e questo mondo
come una palla alla fine.
Non credere a chi tinge tutto di buio pesto e
di sangue. Lo fa perchè è facile farlo.
Noi siamo solo confusi,credi.
Ma sentiamo. Sentiamo ancora.
Sentiamo ancora. Siamo ancora capaci
di amare qualcosa.
Ancora proviamo pietà.
Tocca a te, ora,
a te tocca la lavatura di queste croste
delle cortecce vive.
C’è splendore
in ogni cosa. Io l’ho visto.
Io ora lo vedo di più.
C’è splendore. Non avere paura.
Ciao faccia bella,
gioia più grande.
L’amore è il tuo destino.
Sempre. Nient’altro.
Nient’altro. Nient’altro”

2.
Che cosa sono i fiori?
non senti in loro come una vittoria?
La forza di chi torna
da un altro mondo e canta
la visione. L’aver visto qualcosa
che trasforma
per vicinanza, per adesione a una legge
che si impara cantando, si impara profumando.

Che cosa sono i fiori se non qualcosa d’amore
che da sotto la terra viene
fino alla mia mano
a fare la festa generosa.

Che cosa se non
leggere ombre a dire
che la bellezza non si incatena
ma viene gratis e poi scema, sfuma
e poi ritorna quando le pare.

Chi li ha pensati i fiori,
prima, prima dei fiori.

3.
“Giuro per i miei denti di latte” giuro per il
correre e per il sudare giuro per l’acqua e
per la sete giuro per tutti per i baci d’amore
giuro per quando si parla piano la notte
giuro per quando si ride forte giuro per la parola no
e giuro per la parola mai e per l’ebrezza
giuro, per la contentezza lo giuro.

Giuro che io salverò la delicatezza mia
la delicatezza del poco e del niente
del poco poco, salverò il poco e il niente
il colore sfumato, l’ombra piccola
l’impercettibile che viene alla luce
il seme dentro il seme, il niente dentro
quel seme. Perché da quel niente
nasce ogni frutto. Da quel niente
tutto viene.

4.
se c’è una sete che ci ammala
se c’è un sorso per chi ha sete
se davvero davvero muove il sole
se muove il sole e l’altre stelle
se la sua gran potenza, sua gran
potenza d’antico Amor,
se il nostro cuore è immenso
se il nostro cuore
talvolta è immenso, se le
stelle nascono, se è vero che nascono
anche adesso, se siamo polverine allo
sbaraglio, catenelle smagliate,

benedico ogni centimetro d’Amore ogni
minima scheggia d’Amore
ogni venatura o mulinello d’Amore
ogni tavolo e letto d’Amore

l’Amore benedico
che d’ognuno di noi alla catena
fa carne che risplende

Amore che sei il mio destino
insegnami che tutto fallirà
se non mi inchino alla tua benedizione


Margherita Guidacci nacque a Firenze, ed ebbe un’infanzia estremamente solitaria, che influenzò fortemente il suo carattere, incline all’introspezione e alla creatività. Accompagnata nelle sue escursioni nella regione del Mugello, dal cugino Nicola Lisi, fu intensamente influenzata, da quest’ultimo, nella sua poetica, che ella definì “come un canto di uccelli”. Contrariamente alla voga del periodo, che vedeva l’affermarsi dell’ermetismo di Ungaretti, la Guidacci rimase sempre originale nei suoi scritti.
Dopo aver frequentato il liceo Classico Michelangelo, a Firenze, si iscrisse all’Università di Firenze, dove si laureò in Letteratura Italiana, con una tesi proprio su Ungaretti, le opere del quale comparò alle sue, sottolineando le differenze stilistiche.
Si specializzò, quindi, in Letteratura Inglese ed Americana, e tradusse le opere di John Donne e le poesie di Emily Dickinson. Nel 1945, iniziò ad insegnare Letteratura Inglese ed Americana nei licei pubblici, per poi passare all’Università di Macerata ed, in fine, all’Università Maria Assunta in Vaticano. Visse per il resto dei suoi giorni a Roma, dove si spense nel giugno del 1992.

5.
Primo autunno di Elisa
Che dirti, amore mio, che dirti?
Che l’uva è vendemmiata
ed ogni succo disfatto in dolcezza?
Che ragnatele di nebbia
hanno striato la terra? Nel bosco
tutte le bacche sono ormai cadute,
rimane il legno bruno e lucido

e l’anno corre alla sua foce
lungo le vene dell’ultima foglia.
Che dirti, amore mio, che dirti?
Le parole hanno un senso
soltanto se le nutre la memoria.
Ma tu non hai ricordo di stagioni,
tanto meno ricordo di ricordi:
sei nuova e fresca, intatta dal declino
che rattrista lo sguardo di tua madre
mentre fissi serena
questo tuo primo autunno.


Patrizia Cavalli è nata a Todi e vive a Roma dal 1968. Oltre all’attività poetica, si dedica a traduzioni per il teatro. Nel 1992 Einaudi ha raccolto nel volume Poesie (1974-1992) i due libri Le mie poesie non cambieranno il mondo (Einaudi, 1974) e Il cielo (Einaudi, 1981), con l’aggiunta della sezione inedita L’io singolare proprio mio. In tale arco cronologico non muta la fisionomia della sua scrittura poetica, che trova la propria misura in una dimensione quotidiana e colloquiale, pur senza rinunciare a un’effusività dell’io poetico. Ha tradotto testi teatrali (Shakespeare, Molière). Con la raccolta Sempre aperto teatro, ha vinto il Premio Letterario Viareggio-Repaci.

6.
Di essere ormai adulta l’ho capito
da come la notte vado al gabinetto.
Sicura di tornare al grande caldo, prima
era un’interruzione quasi a occhi chiusi,
veloce e trasognata. Ora è un viaggio lento
e freddo, staccato dal sonno, dove guardo
sapendo di guardare le stesse mattonelle
lo stesso muro screpolato, lo stesso secchio
lasciato in mezzo al corridoio,
e confusa nell’estatico disordine
riconosco il percorso in un codice
di piccoli sussulti finché mi riconsegno
a un tiepido torpore castigato.

7.
Adesso che il tempo sembra tutto mio
e nessuno mi chiama per il pranzo e per la cena,
adesso che posso rimanere a guardare
come si scioglie una nuvola e come si scolora,
come cammina un gatto per il tetto
nel lusso immenso di una esplorazione, adesso
che ogni giorno mi aspetta
la sconfinata lunghezza di una notte
dove non c’è richiamo e non c’è più ragione
di spogliarsi in fretta per riposare dentro
l’accecante dolcezza di un corpo che mi aspetta,
adesso che il mattino non ha mai principio
e silenzioso mi lascia ai miei progetti
a tutte le cadenze della voce, adesso
vorrei improvvisamente la prigione.

8.
Quante tentazioni attraverso
nel percorso tra la camera
e la cucina, tra la cucina
e il cesso. Una macchia
sul muro, un pezzo di carta
caduto in terra, un bicchiere d’acqua,
un guardar dalla finestra,
ciao alla vicina,
una carezza alla gattina.
Così dimentico sempre
l’idea principale, mi perdo
per strada, mi scompongo
giorno per giorno ed è vano
tentare qualsiasi ritorno.


Vivian Lamarque è nata a Tesero (Trento) nel 1946. A nove mesi cambiò città e famiglia, a quattro anni perse il secondo padre, a dieci scoprì di avere due madri e scrisse le prime poesie. Dall’età di nove mesi vive a Milano, dove ha insegnato per molti anni. Ha lavorato come insegnante e tradotto Valéry, Baudelaire, Prévert, La Fontaine, Céline, Grimm e Wilde. Fa parte della Giuria Nazionale di Diaristica. Su Sette, inserto settimanale del Corriere della Sera, ha tenuto la rubrica Gentilmente, raccolta poi in volume da Rizzoli. La sua attività artistica è assai poliedrica: la sua prima raccolta poetica, Teresino, ha vinto nel 1980 il Premio Viareggio Opera Prima. Ha pubblicato poi Il Signore d’oro, Il Signore degli spaventati e Poesie dando del Lei. Del 1996 è Una quieta polvere. È autrice di 15 libri di fiabe e ha vinto il Premio Rodari (1997) e il Premio Andersen (2000). Ha una figlia e una nipote.

9.
Poesia illegittima
Quella sera che ho fatto l’amore
mentale con te
non sono stata prudente
dopo un po’ mi si è gonfiata la mente
sappi che due notti fa
con dolorose doglie
mi è nata una poesia illegittimamente
porterà solo il mio nome
ma ha la tua aria straniera ti somiglia
mentre non sospetti niente di niente
sappi che ti è nata una figlia.

10.
Poesia malata
Ci deve essere un’epidemia
anche questa mia poesia appena nata
si è già bell’e malata.
Appena tu l’hai letta distaccatamente
senza fermarti e senza dirle niente
si è sentita girare un po’ la testa si è appoggiata
si è svestita si è messa a letto
dice che è malata.
Ha guardato un po’ le cose intorno distrattamente
poi ha chiuso gli occhi e non ha più detto niente
come Mimì finge di dormire
per poter con te sola restare
sta lì così melodrammaticamente
sta lì così senza dire niente
già così ridicola e disperata
appena appena nata.

11.
Cucchiaini
A tavola
per non parlare da sola
ha parlato con le sue posate
per tutta l’infanzia
per tutta l’adolescenza
con la signora forchetta
e suo marito il coltello
per tutti i pranzi
e tutte le cene
poi è diventata grande
non ha più parlato all’acciaio inossidabile
QUASI più è tornata nel cassetto
dei feroci bambini
cucchiaini.

12.
Cammino piano, qua sotto
al terzo piano dorme un condomino
morto. E’ tornato morto stasera
dall’ospedale, gli hanno salito
le scale, gli hanno aperto la porta
anche senza suonare, ha usato
per l’ultima volta il verbo
entrare. Ha dormito con noialtri condomini
essendo notte sembrava a noi uguale
ha dormito otto ore ma poi ancora
e ancora e ancora oltre la tromba
mattutina dei soldati, oltre il sole
alto nel cielo, ora che noi ci muoviamo
non è più a noi uguale. E’ un condomino
morto. Scenderà senza piedi le scale.
Era gentile, stava alla finestra
aveva un canarino, aveva i suoi millesimi
condominiali, guarda gli stanno spuntando
le ali.


Patrizia Valduga è nata a Castelfranco Veneto nel 1953 e vive a Milano. Ha tradotto i sonetti di John Donne e da Mallarmé, Kantor, Valery, Crebillon, Moliére, Céline, Cocteau.
Patrizia Valduga si distingue fra i poeti contemporanei, per la particolarità della sua ricerca sul linguaggio, come avverte Luigi Baldacci in una sua nota introduttiva a Medicamenta e altri medicamenta (1989). Scrive Baldacci: "La Valduga ... ha fatto sua la crisi di linguaggio della poesia moderna. Non è un poeta in crisi, ma un poeta che parla con la crisi, servendosene. E nessuno ha colto, come lei, la situazione di impossibilità che ha lasciato dietro di lei il discorso di Montale: non perché fosse impossibile dire meglio, dire di più, ma perché è ormai impossibile dire qualcosa con quelle parole. In questa camera carceraria ... sono ammessi ancora dei giochi; ma il più importante non è quello erotico: è quello di chi si diverte a ritagliare il linguaggio degli altri, a lavorare di forbicine e colla. ... non so trovare o vedere, oggi, un linguaggio poetico che sia più linguaggio di questo". Baldacci intravede in questo uso del linguaggio la metafora di uno strazio: "questa capacità di canto e di strazio è solo delle donne, o meglio della poesia femminile (che è una categoria aperta a tutti), e poiché Patrizia Valduga possiede al massimo grado questa capacità &endash; nel senso che ... strazia il proprio canto, lacera il patrimonio di parole che le è venuto in eredità dalla tradizione &endash; ecco che questa poesia è per me qualcosa che, nell’accezione che abbiamo detto, sopravanza ogni contemporaneo".

13.
Nel luglio altero, lui tenero audace,
sensualmente a me lanciava da là:
prima di sera io ti scopo. Ah.
Fra trafficar di sguardi dove pace,

dove l’incompenetrabilità...
dove il tempo in quest’ombra... Lui tace
in un empio silenzio a farne fornace.
Poi apri, m’intima, apri... più dentro già

si spinge con suo tal colpo segreto.
Umidore, pare bacio di calore
su ammucchiarsi d’umano, alto m’accappia.

O inverni e lirici slanci (con metodo).
Mi sale... mi scende... io come granata
esplosa, contusa, to’, che si sappia.

14.
In questa maledetta notte oscura
con una tentazione fui assalita
che ancora in cuore la vergogna dura.

Io così pudica, così compita,
vedevo un uomo a me venire piano
e avvolgermi quasi avido la vita;

un altro ne veniva e con la mano
oh delicatamente lui mi apriva,

e un altro e un altro e un altro ch’era vano

a guerra apparecchiarmi d’armi priva
già incatenata, e senza una catena,
nel tempo che la vita non par viva.

"Non vuoi? piccola piccola sirena..."
Posso io non volere e star da lato?
"Oh lasciatemi!" e respiravo appena,

il cuore dalla sua sede saltato.
Con cento mani vinte le mie braccia
Tutte le ossa mi avevano contato,

ad ogni cavità davan la caccia;
nel denso, nelle viscere spremuta,
in una tomba di carne che schiaccia

e macina e mette al niente... perduta.
Che mai feci, che mai feci mio Dio?
Mercè, pietà, perdono, chi mi aiuta?

15.
Ancora nero senza fine, nero
come nera matrice di ogni nero,
ma tutta luce, ancora, senza nero
materia della mente e spasmo nero.
La sento la mia vita, me la imparo,
fino al fegato adesso, fino al fiele;
oh nera un tempo enorme senza chiaro,
fedele della notte più infedele.
E’ lungo questo tempo senza fine
il mio cuore senza fine nel tempo.

E’ nero lungo un tempo senza fine
per non morire prima del suo tempo.
Dicevo: Amore mio, vorrei annegare
nell’acqua chiara dei tuoi occhi chiari,
finire finalmente di aspettare
giovani giorni, cari giorni chiari.
Superba mendicante dell’amore,
scongiuravo: Fa’ ammenda alla mia fame,
dammelo ogni mio oggi il pane amore,
liberami dai mali, amore. Amen.
Dove sei, gli chiedevo, col mio cuore?
Ho freddo e ho per amante la mia mano
E faccio sogni e sogni di terrore
e non ho tregua qui e invanisco in vano.
Cosa fai, gli chiedevo, col mio cuore?
Quanto disti da me, in linea retta?
Quanti chilometri di batticuore?
Quando mi dai l’amore che mi spetta?
Eccomi, ancora. Prendimi per mano:
occorre che mi fermi e mi conforti
perché non posso andare più lontano
perché dopo ci sono solo i morti.


Antonella Anedda (Anedda-Angioy) è nata a Roma. Vive tra Roma e la Sardegna. Ha collaborato per varie riviste e giornali come Il Manifesto, Linea d’ombra, Nuovi Argomenti. Ha pubblicato: il libro di versi Residenze invernali(Crocetti, Milano 1992, premio Sinisgalli opera prima, Premio Diego Valeri, Tratti poetry prize);il libro di saggi Cosa sono gli anni (Fazi, 1997) il libro di traduzioni e poesie Nomi distanti (Empiria, Roma 1998, con una nota di Franco Loi). Nel settembre 1999 è uscito il volume di poesie Notti di pace occidentale, per la casa editrice Donzelli di Roma. Di prossima pubblicazione presso la Feltrinelli un libro di saggi dal titolo La luce delle cose. E’ presente in antologie italiane e straniere.

16.
Indicibile I
Per dimenticare quello che non sei
dovrei imparare la frase che è di tutti:
è morto, siamo vivi.
Ma lo crede soltanto chi ripete
un rosario terreno. Io non posso.
Prendo questa luce domestica, la piego
ne faccio sedie e scale
per scendere a gradini la tua assenza.
Per non dimenticare che non sei
prendo un cucchiaio da minestra
scavo sulla tua tomba
di nascosto con la tua terra
concimo una lattuga.

17.
Indicibile II
Dicono che è settembre
che c’è ancora tepore,
stappano dal letto lenzuola
sopra e sotto, le stendono con cura e il tempo così mite mi assottiglia
fino alla linea delle tue labbra in ospedale
taglia strisce autunnali per la croce
(tua? tua) senza fotografia.

18.
Indicibile III
Scavo dentro di me fino al tuo vuoto.
Fissati con pazienza i visi che hai amato
conservano la traccia di chi eri.
Anche nel loro amore
come dentro il tuo
per me e la morte costruirò una casa.

19.
Coro I
C’era la stanza dove paura e tempo ruotavano.
Dove lui le accarezzò la schiena lavando con l’acqua ogni
traccia di respiro.
Le loro ossa brillarono in segreto.
Quando pensarono di amarsi
la luna sollevò l’acqua in due diverse maree.
Quando lei rispose lui era già lontano.
Lui parlò, lei stava cercando di raggiungerlo
il cane abbaiava nel vento. Cane e vento confusero entrambi
e più di tutto confuse la torcia di chi li andava a cercare.
L’amore s’incise a quel punto.
Lei restò tra gli scogli e la sabbia.
Il mondo si fece rosso e il cane le coprì le ginocchia.
Notte e maestrale li gelarono insieme.
Ecco per te che ti fermi e ascolti - questo dettaglio
mentre il freddo mi sale;
“Essi vivono dietro una veranda di vetro. Essi scaldano i
rispettivi corpi”.


Alda Merini è nata in una famiglia di condizioni modeste, esordisce a soli 15 anni. Nel 1947, Merini incontra "le prime ombre della sua mente" e viene internata per un mese a Villa Turro. Giacinto Spagnoletti sarà il primo a pubblicarla nel 1950, nell’Antologia della poesia italiana 1909-1949, con le poesie Il gobbo e Luce. Nel 1951, su suggerimento di Eugenio Montale e della Spaziani, l’editore Scheiwiller stampa due poesie inedite dell’autrice in "Poetesse del Novecento".
Nel periodo che va dal 1950 al 1953 la Merini frequenta per lavoro e per amicizia Salvatore Quasimodo. Nel 1953 esce il primo volume di versi intitolato "La presenza di Orfeo" e nel 1955 "Nozze Romane" e "Paura di Dio". Si alterneranno in seguito periodi di salute e malattia che durano fino al 1979 quando la Merini ritorna a scrivere, dando il via ai suoi testi più intensi sulla drammatica e sconvolgente esperienza del manicomio, testi contenuti in "La Terra Santa", che sarà pubblicato da Vanni Scheiwiller nel 1984. Sarà in questo periodo che nasceranno libri come "Delirio amoroso" (1989) e "Il tormento delle figure" (1990).
Nel 1991 escono "Le parole di Alda Merini" e "Vuoto d’amore" a cui fa seguito nel 1992 "Ipotenusa d’amore", nel 1993 "La palude di Manganelli o il monarca del re" e il volumetto "Aforismi". È questo l’anno in cui le viene assegnato il Premio Librex-Guggenheim "Eugenio Montale" per la Poesia, premio che la consacra tra i grandi letterati contemporanei e la accosta a scrittori come Giorgio Caproni, Attilio Bertolucci, Mario Luzi, Andrea Zanzotto, Franco Fortini.
Nel 1994 vede la luce "Titano amori intorno" uscito presso l’editore "La vita felice", con sei disegni di Alberto Casiraghi, e il volume "Sogno e Poesia", da "L’incisione di Corbetta", con venti incisioni di altrettanti artisti contemporanei. La collaborazione con i piccoli editori ha portato ad altri minitesti come, tra gli ultimi pubblicati, "Lettera ai figli", edito da Michelangelo Camilliti per l’edizione "Lietocollelibri" e illustrato da otto disegni onirici e surreali di Alberto Casiraghi.
Nel 2000 esce nell’edizione Einaudi "Superba è la notte", un volume che è il risultato di un lavoro minuzioso compiuto su numerose poesie inviate all’editore Einaudi e a Ambrogio Borsani. I versi che compongono la raccolta sono stati scritti nel periodo che va dal 1996 al 1999. Non essendo stato possibile dare al materiale un ordine cronologico i curatori si sono basati sull’omogeneità tematica e stilistica complessiva dell’opera.
Nel 2003 e 2004 viene pubblicato dall’Einaudi "Clinica dell’abbandono" con l’introduzione di Ambrogio Borsani e con uno scritto di Vincenzo Mollica. Da tutta Italia vengono inviate e-mail a sostegno di un appello lanciato da un amico della scrittrice che richiede aiuto economico.
Alla fine del 2005 esce per Crocetti Editore "’Nel cerchio di un pensiero (teatro per voce sola)’"
Del 2005 è anche la raccolta "Le briglie d’oro (Poesie per Marina 1984-2004)", edita da Scheiwiller. Nel 2006 si avvicina al genere noir con "La nera novella", edita da Rizzoli.

20.
Amore non dannarmi
Amore non dannarmi al mio destino
tienimi aperte tutte le stagioni
fa che il mio grande e tiepido declino
non si addormenti lungo le pulsioni
metti al passivo tutte le passioni
dormi teneramente sul cuscino
dove crescono provvide ambizioni
d’amore e di passione universale,
toglimi tutto e non mi fare male.

21.
I due amanti
Ribaciami amore è
solo ieri
che mi hai sfiorato la lingua
con il verbo del tuo violino,
acino d’uva il tuo sesso
che posi sul grembo migliore.

Rimani e ascolta
l’ultimo respiro di vita
che si libera dai miei capelli.

22.
Il mio primo trafugamento di madre
avvenne in una notte d’estate
quando un pazzo mi prese
e mi adagiò sopra l’erba
e mi fece concepire un figlio.
O mai la luna gridò così tanto
contro le stelle offese,
e mai gridarono tanto i miei visceri,
né il Signore volse mai il capo all’indietro
come in quell’istante preciso
vedendo la mia verginità di madre
offesa dentro a un ludibrio.
Il mio primo trafugamento di donna
avvenne in un angolo oscuro
sotto il calore impetuoso del sesso,
ma nacque una bimba gentile
con un sorriso dolcissimo
e tutto fu perdonato.
Ma io non perdonerò mai
e quel bimbo mi fu tolto dal grembo
e affidato a mani più “sante”,
ma fui io ad essere oltraggiata,
io che salii sopra i cieli
per avere concepito una genesi.

23.
Quando avrò alzato in me l’intimo fuoco
che originava già queste bufere
e sarò salda, libera, vitale,
allora sarò sola?
E forse staccherò dalle radici
la rimossa speranza dell’amore,
ricorderò che frutto d’ogni
limite umano è assenza di memoria,
tutta mi affonderò nel divenire…
ma fino a che io tremo dal principio
cui la tua mano mi iniziò da ieri,
ogni attributo vivo che mi preme
giace incomposto nelle tue misure.

Giuseppe Rotoli

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