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Un caso di omicidio all’inizio del ‘700

mercoledì 4 febbraio 2015, di redazione


Un documento risalente al ‘700, conservato presso l’Archivio Arcivescovile di Capua, e di cui siamo debitori all’amico Alberto Esposito, appassionato ricercatore di Cancello ed Arnone, ci introduce in un caso di omicidio.
Si tratta precisamente della deposizione giurata di tale Caterina Maffeo, vedova Iavarazzo, resa all’indomani dell’uccisione di suo figlio Domenico ad opera dei fratelli Giovan Battista e Donato D’Abrosca ai quali danno manforte Ambrogio Gravante e Crescenzo Carlino. Il delitto è consumato la sera del 29 agosto 1735 mentre è in corso la festa del Santo Patrono S. Giovanni Battista.

Il testo riporta una incongruenza iniziale: la data introduttiva della deposizione (“Die 19 mensis Augusti 1735” ) è evidentemente antecedente rispetto ai fatti narrati. Non sappiamo se è un errore di trascrizione o una svista del cancelliere che ha registrato la seduta. Verosimilmente trattasi del 29 agosto ma anche così non corrisponde al vero in quanto la deponente, descrivendo l’accaduto, lo situa al giorno precedente, lunedì festa del santo (“hieri giorno di Lunedì ventinove”). Dunque la testimonianza deve essere collocata al 30 agosto. Un veloce controllo nel calendario perpetuo ci permette di verificare l’esattezza del dato: quell’anno la festa cade proprio di lunedì.

Nel documento ricorrono alcune indicazioni di luogo relative alla ‘scena del delitto’ che è impossibile riconoscere a quasi tre secoli di distanza (a quel tempo non esisteva l’attuale toponomastica), cioè la ‘vinella di F. Tessitore’, la ‘vinella di Don Fabrizio’, “il luogo detto la Vorna” dove per luogo si potrebbe intendere sia un determinato posto geografico sia un cortile, secondo la parlata locale, ma in ogni caso, ci sfugge il significato del termine “Vorna”. Più agevole riconoscere in “sotto l’arco” l’estremità dell’odierna via Volturno sfociante in via Roma, dove la strada passa appunto sotto una casa. Un posto, tra l’altro, vicino alla chiesa dell’AGP citata nel racconto, ovvero la Chiesa dell’Annunciata, dove trova rifugio un assassino per l’antica consuetudine di sottrarsi in questo modo alla giustizia o ricevere una pena inferiore a quella prevista.

Dal documento vien fuori un quadro particolare del paese in cui le liti avevano spesso un esito sanguinoso che si perpetuava nel tempo con ritorsioni e vendette. Inoltre appare evidente il tentativo di Caterina Maffeo di sminuire l’operato e l’atteggiamento dei figli cercando di costruire intorno all’altrui violenza un velo di sconcerto per la sproporzione della ritorsione rispetto al fatto originario che l’ha causata. E così fa risalire la faida che si è scatenata allo sparo accidentale di un fucile che comunque non provoca feriti. Può un episodio così descritto innescare una sfilza di violenze? Per rappresentare l’accidentalità del fatto e l’assenza di ogni retropensiero nella mente del figlio, la vedova Maffeo racconta che il giorno seguente egli si avvicina senza sospetto ai fratelli D’Abrosca che lo chiamano da lontano, venendo da questi gravemente ferito. Più avanti racconta che l’altro figlio Andrea, che uccide Bartolomeo D’Abrosca con un maglio ferrato, al momento del fatto era a passeggio. Essa accenna appena a questo attrezzo come se fosse normale andarsene a spasso con un arnese del genere mentre appare evidente che il possessore pensava di servirsene se si presentava l’occasione (ma più che passeggiare, è possibile che andasse in cerca della sua vittima).

E, infine, l’epilogo finale dell’uccisione di Domenico, considerata inaspettata, incomprensibile. Ma come, si erano riappacificati, erano diventati finanche compari e invece “incominciorno a concepire odio”.
Non sappiamo come si concluse la vicenda giudiziaria ma riteniamo interessante offrire alla lettura questa deposizione della Maffeo nella versione originale del verbalizzante preceduta da quella rimodernata per facilitarne la comprensione.

Leggiamo:

Nel giorno 19 del mese di Agosto 1735 nel Casale di Grazzanise di Capua Caterina Maffeo del fu Donato Iavarazzo di questo Casale di Grazzanise, dove dice di abitare, di anni sessantaquattro circa, come disse in qualità di principale testimone durante il suo giuramento. Interrogata ed esaminata.
Interrogata su che cosa essa, come principale testimone, denuncia davanti a noi, disse: “ Signore la verità del fatto per cui accuso è che ieri giorno di lunedì 29 di questo mese di agosto dell’anno 1735, verso le 22, celebrandosi in questo casale di Grazzanise la festività del glorioso S. Giovanni Battista nostro Protettore, mio figlio Domenico Iavarazzo stava in mezzo a quella [festa] e mentre là si intratteneva, o perché fosse stato avvertito da qualcuno, o perché volesse ritirarsi a casa, giunto che fu davanti al vicolo di Francesco Tessitore mio compaesano, dalla parte del vicolo detto di D. Fabrizio, rapidamente gli uscirono incontro i fratelli Giovan Battista e Donato D’Abrosca. Domenico vedendoli correre di gran carriera verso di lui, cominciò a fuggire in detto vicolo, dove lo raggiunsero a metà di quello.
Il detto Donato con una nodosa mazza che aveva con sé cominciò a colpire il predetto mio figlio Domenico mentre il suddetto Gio. Batta, armato di schioppo, diceva a suo fratello Donato: “batti questo cornuto fottuto”, e il suddetto Donato colpiva, tanto che ai primi colpi cascò a terra morto. E poiché intanto era accorsa molta gente per aiutare mio figlio Domenico, il suddetto Gio Batta D’Abrosca spianò il suo schioppo e lo rivolse verso la detta gente perché nessuno aiutasse mio figlio, e intanto il nominato Donato picchiava tanto che si stancò, e allora Gio Batta diede un calcio nella pancia di mio figlio. Dopo un certo tempo accorsero Ambrogio Gravante e Crescenzo Carlino, ambedue muniti di schioppi, in qualità di parenti del suddetto D’Abrosca. Anche loro accorsero sul luogo del conflitto e dopo poco tutti e quattro, insieme, con in mano i loro fucili, se ne andarono verso la Chiesa parrocchiale di questo predetto Casale. Io come meglio potei, con l’aiuto di alcuni vicini, andai a prendere mio figlio Domenico e lo portai in casa, dove dopo un’ora morì avendo appena preso l’assoluzione sub-conditione e l’olio santo.

E chiestole se essa deponente conosce la causa per la quale i predetti Donato e Gio Batta hanno ucciso il nominato Domenico Iavarazzo, disse: La verità del fatto è questa. Tre anni addietro, una notte, mentre Bartolomeo D’Abrosca, fratello dei sunnominati Gio Batta e Donato, stava suonando e cantando al suono di un colascione nel luogo detto La Vorna, insieme ad altri compagni, si trovò a passare Domenico, il quale portava uno schioppo lungo da caccia. Fu chiamato da uno dei detti compagni e mentre stavano discorrendo, il fucile cadde dalle mani di mio figlio e sparò ma non fece male a nessuno perché l’arma era caricata solamente a polvere. Al colpo di quella restarono tutti stupiti e chiusa la conversazione mio figlio si ritirò a casa. Il giorno dopo mentre Domenico Iavarazzo era seduto nella pubblica piazza di questo casale, fu chiamato da sotto l’Arco da Ruccio D’Ambrosca, altro fratello dei suddetti Gio Batta, Donato e Bartolomeo. Mio figlio vi si recò e giunto presso Ruccio per sentire che cosa volesse, uscì da dietro a quello il sunnominato Bartolomeo che con una mazza di legno che teneva in mano lo ferì gravemente in testa. Fatto questo se ne andarono, e Domenico si ritirò a casa malconcio.
E mentre si stava curando fu arrestato dalla squadra di Compagnia e portato in tribunale per la suddetta schioppettata. Uscito, andava lavorando per vivere. Essendo trascorso un anno, mentre un giorno l’altro mio figlio Andrea Iavarazzo, fratello di Domenico, passeggiava davanti alla Chiesa Parrocchiale, recando in mano un maglio ferrato, passò nello stesso luogo il suddetto Bartolomeo D’Abrosca e, avendolo visto, mio figlio Andrea gli corse addosso e con il detto maglio lo uccise e andò a rifugiarsi nella chiesa dell’’AGP di questo Casale. Dove, dopo pochi mesi per una malattia morì e dopo altri mesi i nominati D’Abrosca e Domenico Iavarazzo si riappacificarono e divennero compari. Da quel momento suppongo, anzi sono certa, che cominciarono a concepire odio contro mio figlio, tanto è vero che ieri lunedì me l’hanno ucciso, ed è la verità.

E chiestole se per quanto detto fa denuncia disse: Signore faccio querela contro i medesimi che senza ragione alcuna mi hanno ucciso mio figlio Domenico e chiedo giustizia. E chiestole chi può testimoniare sulle cose suddette disse: Signore possono deporre Eustachia Tessitore, Crescenzo Gravante, Ignazio Parente, Giacomo Palladino, Antonio Di Stasio, Teresa Abbate e altri che erano presenti al fatto.

+Segno di croce

Versione originale

Die 19 mensis Augusti 1735 in Casali Grazzanisii de Capua Catarina Maffeo del q.m Donato lavarazzo di questo Casale di Grazzanise, dove dice habitere di età sua di anni sesanta quattro in circa ut dixit principalis deposans querelans medio eius iuramento. Interrogata et examinata et primo. Interrogata di che cosa essa principale deponente si querela avanti di noi; dixit Signore la verità del fatto di quanto mi querelo si è, come hieri giorno di Lunedì ventinove di questo cadente mese di agosto e corrente anno millesettecento trenta cinque, verso le hore ventidue, celebrandosi in questo Casale di Grazzanesi la festività del Glorioso San Giovanni Battista Nostro Protettore, stava Domenico lavarazzo mio figlio in mezzo di quella, et nel mentre là si tratteneva, o fusse stato avvisato da qualche persona, o pure detto mio figlio se ne voleva ritirare nella sua casa, e gionto fù avanti la Vinella di Francesco Tessetore mio paesano, dalla parte della Vinella detta di D. Fabritio di tutta carriera uscirno all’incontro al detto Domenico mio figlio, Gio:Batta, et Donato d’Ambrosca fratelli, il quale Domenico vedendoli correre di tutta carriera verso di lui, si pose a fuggire dentro di detta Vinella, dove alla metà di quella lo giunsero, et il detto Donato con una mazza pirocca di legno che portava nelle sue mani, con quella si pose a battere il predetto Domenico mio figlio, et il predetto Gio:Batta armato di scoppetta e diceva verso del predetto Donato suo fratello batti so becco fottuto cum r.a, et il sudetto Donato batteva, che alli primi colpi cascò a terra morto, e frà tanto essendono accorse molta gente per agiutare il predetto Domenico mio figlio, il sudetto Gio: Batta d’Ambrosca ingrillò la sua scoppetta. et l’impugnò verso di detta gente, acciò nessuno havesse dato agiuto all’ sudetto Domenico mio figlio, e frà tanto l’accennato Donato batteva tanto che si allentò, et all’hora il sudetto Gio: Batta diede un calce sopra la panza del riferito Domenico mio figlio, et doppo certo tempo accorsero Ambrosio Gravante, et Crescenzo Carlino ambedue, con scoppette come parenti di detto d’Ambrosca anche loro vi accorsero verso dove stava il Conflitto, e poco doppo poi tutti quattro uniti con le loro scoppette impugnate nelle loro mani se ne andarno verso la Parochiale Chiesa di questo predetto Casale, et io al meglio che potei con l’agiuto di alcuni miei vicini mi andai a prendere il riferito Domenico mio figlio, et me lo portai nella mia Casa, dove fra lo spatio di un hora se ne morì, che appena potè havere l’assolutione sub conditione, et l’oglio Santo.
E dettoli se essa deposante sa la Causa per la quale li pren.ti Donato et Gio: Batta d’Ambrosca hanno ucciso il prenominato Domenico Iavarazzo mio figlio, dixit Signore la verità del fatto passa di questo modo, qualmente tre anni addietro una notte nel mentre Bartolomeo d’Ambrosca fratello delli nominati Gio. Batta e Donato stava sonando e cantando al suono di un Colascione nel luogo detto la Vorna, assieme con altri suoi compagni, per detto luogo si ritrovò passando l’accennato Domenico, il quale asportava con esso una scoppetta lunga di Caccia, fù chiamato da uno di detti Compagni, e nel atto stavano discorrendo, cascò la detta scoppetta dalle mani del nominato Domenico mio figlio e sparò, ma non fè male a nessuno, atteso la detta scoppetta stava carica solamente a polvere, che all colpo di quella restorno tutti stupiti, et licenziato detto Domenico mio figlio dalla Conversatione se ne ritirò in sua casa, il giorno appresso poi nel mentre stava l’accennato Domenico Iavarazzo seduto in mezzo la publica piazza di questo accennato Casale, da sotto l’arco fù chiamato da Ruccio d’Ambrosca altro fratello dell sudetto Gio: Batta, et Donato, et Bartolomeo, del che detto Domenico mio figlio vi andò, e gionto vicino di detto Ruccio per vedere che cosa voleva, da dietro di quello usci il prenominato Bartolomeo , et con una mazza di legno che teneva nelle sue mani lo ferì gravemente in testa, e fatto ciò se ne andorno, et il sudetto Domenico se ne ritirò in sua casa così malamente ferito, et nel atto che stava curandosi fu carcerato dalla squadra di Compagnia, e portato all Tribunale per la detta scoppettata, dove uscito poi andava faticando per viversi, et essendone passato un anno, nel mentre un giorno passeggiava Andrea Iavarazzo altro mio figlio, e fratello del sudetto Domenico per avanti il largo della Parocchiale Chiesa con un maglio ferrato nelle sue mani, per detto luogo passò il predetto Bartolomeo d’Ambrosca, e vistolo il detto Andrea mio figlio li corse addosso, e con il detto maglio l’uccise, e po se ne andò a refugiarsi dentro la Chiesa dell’A. G. P. di questo predetto Casale. Dove doppo pochi mesi per una sua infermità se ne morì dentro di detta Chiesa, e doppo alcuni altri mesi li prenominati d’Ambrosca, assieme con detto Domenico Iavarazzo si pacificorno, et si ferno a Compari, e dal hora a questa parte suppongo anzi tengo per certo che incominciorno a Concepire odio contro detto mio figlio, tanto è vero che hieri lunedì venendoli fatta me l’hanno ucciso, et è la verità E dettoli se delle cose predette ne fa querela dixit Signore Io fò quereIa contro dei medesimi che senza ragione alcuna mi hanno ucciso detto Domenico mio figlio e ne domando giustizia
E dettoli chi può deponere le cose sudette; dixit Signore si possono deponere da Eustachia Tessetore, Crescenzo Gravante, Ignatio Parente Giacomo Paladino, Antonio di Stasio, Teresa Abbate, et altri che ivi si ritrovarno presente a detto fatto

+ Signum Crucis

Note:
Ngrillà la scoppetta: armare o montare il cane dello schioppo. Vocabolario napolitano italiano, di Pietro Paolo Volpe, 1869 Colascione: Antico strumento musicale popolare a tre corde, simile al liuto, dal suono aspro, usato spec. a Napoli, ALDO GABRIELLI, Dizionario della Lingua Italiana, Editore: HOEPLI - tipo di liuto a manico lungo, di uso popolare nei secoli XVI e XVII, soprattutto nell’Italia meridionale, Garzanti Linguistica

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