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TERZA PAGINA

Dal Buio della sconfitta alla Luce della riconciliazione

Analisi critica di un racconto del vescovo di Teano-Calvi Mons. A. Aiello

venerdì 23 gennaio 2009, di redazione


Cantique de Noël è il primo dei due racconti del volume Passi nella notte, che il Vescovo di Teano – Calvi Mons. Arturo Aiello ha pubblicato con Franco Di Mauro Editore nel dicembre dell’anno appena trascorso. Il racconto narra di un giovane marito, Nico, abbandonato improvvisamente dalla moglie Monica dopo due anni di apparente felice vita matrimoniale e della disperata e testarda speranza della riconciliazione. La speranza e la tenacia, unitamente ad una incrollabile fede nella bontà dell’amore sono infine ricompensate da un sorprendente ritorno di Monica.
La scarna sintesi non rende giustizia della ricchezza del testo, delle mille connotazioni esistenziali e, soprattutto, del travaglio interiore del protagonista, che con una dolorosa e lancinante retrospettiva passa a vaglio stretto gli anni della vita coniugale, radiografando ogni istante, ogni sottile ma fondamentale segno e indizio. In una sorta di ininterrotto flash back Nico racconta la sua via crucis, la sua flagellazione che lo conducono sulla via lucis.
Il racconto rappresenta la nuova realtà con cui tutti dobbiamo confrontarci, fornisce le coordinate per interpretare mutamenti sociali, abitudini di vita, mode e pone al centro la fede e l’amore, assunte come coordinate paradigmatiche della contemporaneità.
Vi sono numerosi tratti stilistici del racconto che narrano molte più cose delle parole. In primo luogo si registra una folta presenza della parola ‘come’ in tutte le sue funzioni: avverbio, congiunzione, preposizione. Ebbene tale vocabolo mostra l’attitudine alla creazione di similitudini, cioè a ricreare il mondo in una nuova dimensione, in una prospettiva e luce diversa. Le similitudini del racconto rivelano ciò che è dietro il velo del mondo fenomenico, delle cose, del concreto. E’ come se il Vescovo Aiello voglia invitare il lettore a non farsi guidare solo da ciò che vede o ascolta, ma di andare oltre la cortina, oltre il velo e lì s-coprire ciò che ha più valore e senso. Non è un caso che il termine ‘come’ compaia in maniera assillante e numericamente rilevante nella fase in cui Nico è stato lasciato da Monica: egli ha bisogno di andare oltre le barriere delle apparenze per impossessarsi della verità che è oltre i confini delle percezioni. E’ in questa fase che egli capisce che l’essenza, il noumeno direbbe Kant, è un oltre e quell’oltre è l’Amore, un Amore non consueto, non facile, ma fondamentale. La serie di tanti ‘come’ funge da grimaldello della crosta delle superfici.
Anche la scelta del nome dei due protagonisti, Nico e Monica, non è senza significato. Sarà eccessivo cogliere nel nome Nico(non Nicola, che contiene anche un significato di vittoria insieme al popolo) il destino di vittorioso solitario sulla sofferenza, visto che l’etimologia porta diritto diritto al termine greco Nikàn che significa vincere? Oppure la vittoria che Monica riesce ad ottenere superando un suo destino che la spingeva ad una vita solitaria, come suggerisce l’etimo del suo nome? Risulta evidente la lotta di Nico contro un sorte che lo aveva relegato ad una vita solitaria senza un sistema di certezze e di valori. Invece lui, con ostinazione, non perde la bussola, resiste alla tempesta, anzi, è proprio nella bufera che il suo set valoriale si rafforza e si consolida. A me pare emblematica questa figura di uomo, che ormai sa resistere al dolore e alle difficoltà e sa risalire la china. Si sente un’aria nuova, un respiro di travolgente e pacifica rivoluzione dell’essere.
In secondo luogo colpisce la presenza di moltissime parole con vocale tonica dal colore chiaro, soprattutto nell’ultima pagina. Abbondano qui le a, le e aperte, le o aperte quasi a convogliare e rinforzare il trionfo della luce che sta per avvenire. Il chiarore vocalico induce a vedere la luce, altro vocabolo simbolo nel racconto, nell’angusto appartamento di Nico, che di lì a breve invaderà l’intero spazio e squarcerà le tenebre dell’incomprensione, della solitudine. I moltissimi vocaboli dal colore chiaro sembrano una festa pirotecnica nel cuore della notte e preannunciano una nuova alba. L’epilogo del racconto è la risposta all’interrogativo che Aiello si pone e pone a noi fin dall’inizio del Suo Magistero, ‘Custos, quid de nocte?’ Cioè la notte sta per essere vinta? La notte del XX secolo è alle nostre spalle? La riconciliazione finale è un nuovo inizio.
Le diverse scansioni ritmiche del racconto lo fanno assomigliare a uno spartito musicale, ad una grande sonata tripartita con il primo tempo Largo e lento, ma non troppo: ‘Ricordi la prima volta che ascoltammo ‘Oh Holy Night’? Non puoi averlo dimenticato. Eravamo stati invitati da amici ad un concerto nel salone dell’Episcopio’ (pag.7). La seconda parte, il momento dell’abbandono, è un Presto accelerato, nevrotico, incalzante, determinato da proposizioni lunghe ma spezzettate, contorte e complesse: ‘Trascorsi tutta la notte alla finestra aspettando di vederti sbucare dal cancello del parco che dà sulla piazza e lo so, avrei accettato, qualsiasi versione, anche che eri rimasta intrappolata nell’incantesimo per una mela avvelenata che nonnina ti aveva offerto… ’ (pag. 18). Un periodo di ben nove proposizioni, frante da virgole, da passaggi temporali, dal passaggio dal flash back al flash forward; come a sentire un pezzo musicale contemporaneo con dissonanze graffianti, laceranti, taglienti che danno il senso della crisi dell’armonia e della melodia dell’anima, che inducono un sentimento di inadeguatezza e di sofferenza vera. Ed infine si passa all’ultimo tempo, la riconciliazione, con un movimento Andante, Presto, non troppo vivace.
La diversa strutturazione del periodare è in congruente rapporto con la vita interiore del protagonista. Quando Nico è travolto dalla tragedia dell’abbandono i suoi periodi diventano più lunghi, più contorti; da una sintassi paratattica, fatta di brevi frasi principali passa ad una sintassi ipotattica, cioè di frasi lunghe con molte subordinate dipendenti da una sola principale. E’ come se l’andamento tortuoso e serpeggiante delle frasi disegnasse il rovello del pensiero di Nico, trascinato negli abissi della lacerante riflessione. Su questo versante risulta sintomatico il ritorno a frasi brevi nell’ultima parte. Qui la brevità acquista una duplice valenza. Inizialmente (pag. 27) le proposizioni sono il risultato del fluire del pensiero logico – lineare – sequenziale: ‘ Ora tutto è di nuovo in ordine. Dove eravamo rimasti? Ah, sì, al solco tra persone abbracciate e persone sole la notte di Natale. Lo sai, Monica, che Gesù è dalla mia parte? ’ (pag. 27). Ma a mano a mano si fanno più brevi e sincopate; più nevrotiche, più assillanti, a volte più asfissianti. E’ una batteria di colpi che deflagra nella mente del protagonista e del lettore; essa serve a creare il vero climax dell’intero racconto: ‘ Chiudo gli occhi e mi lascio cullare almeno dalla musica. Qualcuno bussa alla porta una, due, tre volte. Non apro: forse è un vicino che viene a protestare per il volume eccessivo dello stereo. Mi batte il cuore forte quando sento il rumore della chiave nella porta .’ (pag. 28). Non ci soffermiamo sul ‘rumore della chiave nella porta’, ben noto alla tradizione letteraria mondiale, ma soprattutto sulla sequenza ’una, due, tre volte’, costruita con un semplice ma felice asindeto che riesce ad attivare nel lettore una potente sinestesia: la vista, con l’immagine di una mano che colpisce il legno della porta e l’udito, con il rumore che essa produce, mettendo in allerta il protagonista più di quanto le parole dicano sul piano denotativo. L’ultima pagina del racconto è un susseguirsi di brevissime proposizioni che si staglia nella mente del lettore e lo prepara all’evento finale: il ritorno e la riconciliazione.
Anche le modalità con cui l’episodio si conclude la dicono lunga sul piano dei significati reconditi. E’ una conclusione felice ma mostrata senza enfasi, senza trionfalismi, senza il gran baccano ai quali siamo portati noi cittadini post – moderni, prigionieri e vittime di una spettacolizzazione di ogni sentimento, senza alcuna misura o freno. Invece Monica ritorna in punta di piedi e Nico l’accoglie ‘in punta di silenzio’. Non c’è alcun bisogno di altre parole. Non è difficile riconoscere in questa delicata riservatezza lo stile e la visione del mondo e degli uomini del Vescovo Aiello, che ama entrare nella vita del mondo, dei fedeli ‘in punta di piedi’ per poi costruire solidi uomini e solidi fedeli.
Abbiamo riflettuto molto sulla figura di Nico, che a prima vista può sembrare una figura inesistente, giacchè oggi nessun uomo è disposto a sopportare le scudisciate del tempo e le ingiurie della ingiustizia e della irriconoscenza; nessun giovane moderno riesce a resistere alle lusinghe delle sirene del sesso facile, nessuno intende vivere solo e appartato, direi sedotto e abbandonato. Nico è un personaggio fasullo? E’ un giovane fittizio, frutto della fantasia e della speranza del Vescovo Arturo? E’ una farsa d’uomo? Crediamo che molti lettori abbiano sentito sotto traccia questa serie di interrogativi e si siano sentiti a disagio nel confrontare il proprio vissuto con quello di Nico e ne abbiano misurato le incolmabili distanze, le inconciliabili differenze e lo abbiano relegato nel mondo della carta stampata: simpatico, costante, forse caparbio, ma in fondo non vero. Giammai un marito della post – modernità, anche se credente, avrebbe scelto la via dell’attesa nel buio e nella finzione di una inesistente normalità. Al contrario questo atteggiamento era tipico delle mogli abbandonate e lasciate sole a casa. Oggi succede, invece, che è l’uomo ad essere lasciato solo. Ma questi subito dopo si impegna a trovare nuove soluzioni, a cercare una nuova donna, a trovare nel sesso consolazione e rifugio. Anche gran parte dei giovani mariti abbandonati e credenti oggi non sfugge a questa regola. Essi, pur tra dubbi e titubanze, alla fine scelgono la via della convivenza e poi di un secondo matrimonio.
Invece Nico resiste alle lusinghe dell’ambiente, del suo ambiente di cattolici e rimane ad aspettare: ‘ Mi sentii tradito anche dagli amici della parrocchia che non avevano in alcun conto la sacralità del matrimonio e li scaraventai tutti fuori casa in malo modo .’ (pag. 22). Ci pare che il protagonista segni un nuovo percorso, il percorso della fede, della fiducia nell’amore e delle sue complesse evoluzioni; egli è disposto a soffrire. E’ Nico il prototipo del futuro giovane, la cui scelta di vita inconsueta e coraggiosa sarà la scelta della maggioranza dei futuri mariti? A noi sembra di sì. Lo scrittore Aiello ne è convinto. E come tutti i veri intellettuali vede prima degli altri ciò che sarà domani, lo anticipa e lo s-vela agli altri. Se è vero che dalla post – modernità siamo passati all’Età della Mutazione, un tratto saliente che il Vescovo Aiello intravede è una più forte e nobile presenza della Fede nella vita ordinaria e nei momenti straordinari. Egli sembra dire che l’Uomo Nuovo del Nuovo Millennio o si consolida nella fiducia verso il prossimo, nella fiducia verso Dio o non sarà più.
Un riuscitissimo racconto da leggere e metabolizzare, non solo da parte di chi ha fede, ma anche da parte di coloro che sono alla ricerca della propria identità.

Prof. Giuseppe Rotoli

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