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Con ’Il rapimento di don Nicolò’, Roberta Muzio tratta liberamente una storia dell’800

venerdì 26 novembre 2021, di redazione


Uscirà il primo dicembre, per i tipi Lampo, l’ultimo libro della scrittrice e giornalista de Il Mattino, Roberta Muzio ed è ambientato sul Matese. La prima letteraria, organizzata dal Piccolo museo Occhi a candela, è prevista a Campobasso nella suggestiva cornice di Palazzo Cannavina.

L’autrice è al suo quarto libro: nel 2019 uscì Occhi a candela, primo volume della Saga dei Pental, seguito, nel 2020, dal secondo volume Il Suono del ferro. Ad agosto scorso è stata data alle stampe la novella Lo zingarello della transumanza, vincitrice del premio letterario nazionale Transumanza - Festival dell’erranza 2020 di Piedimonte Matese, che fu presentata in contemporanea con l’omonimo cortometraggio di cui Muzio curò la regia. Questa volta l’autrice si cimenta nel genere romanzo a sfondo brigantesco: Il rapimento di don Nicolò è una storia liberamente tratta da un fatto di cronaca avvenuto nel 1864. Il volume, in edizione limitata, esce come numero due della collana “I quaderni per il tè del pomeriggio” di Editrice Lampo. La pubblicazione ricalca i canoni del libro fatto alla maniera antica: carattere, formato, gabbia, veste editoriale, tutto rimanda ai libri di fine Ottocento, inizi Novecento.

Ecco qualche anticipazione sulla trama. Una sera di marzo dell’anno 1864, nell’allora Piedimonte d’Alife, una banda di briganti rapisce il giudice regio Nicolò Poppo. Il notabile si era recato a cena a casa di amici per discutere il caso di una domestica, il cui figlioletto era finito nelle maglie della tratta dei bambini. Fin dall’inizio il sequestro appare anomalo perché Poppo è un personaggio molto in vista. La banda è quella del temibile Libero Albanese che da tempo ha alle calcagna il sottoprefetto Squitieri. La moglie del giudice, donna Teresa, si dimostrerà un’abile negoziatrice intessendo una trattativa segreta.
Saranno coinvolti un innominabile Monsignore e il brigante Caporal Nunzio di Paolo. Il caso sarà al centro di riunioni riservate in un misterioso palazzo di un borgo molisano. Il romanzo segue una trama fitta e avvincente ed è ambientato nel Mezzogiorno del giovane Regno d’Italia, tra Campania e Molise. Il dialetto, quando usato nei dialoghi, rispecchia le differenze linguistiche del territorio in cui la storia si dipana. Le vicende, che seguono l’antefatto di Serracapriola, passano attraverso il Matese: Piedimonte, Valle Agricola, Sant’Angelo d’Alife, Roccamandolfi, Macchiagodena, Frosolone. Protagonisti sono noti briganti, notabili filoborbonici, preti, funzionari e soldati al servizio di casa Savoia.

Otto capitoli che scorrono con ritmo incalzante tra luoghi, fatti, segreti, che l’autrice fa narrare da un menestrello ai piedi del castello di Macchiagodena, dinanzi a una fontana, nel giorno dei festeggiamenti della Madonna Incoronata vent’anni dopo, nel 1884. “Ma pel sol fatto di salvar la pelle mia, ci son segreti che sol l’acqua della fonte dell’amor conosceranno. Perciò, se lor signori vorranno sapere, interrogate pure l’acqua al final della mia storia!” canta il menestrello e, così, il confine tra finzione e verità rimane labile fino all’ultima pagina. Evidenti sono i riferimenti alle precedenti opere dell’autrice Non mancano foto d’epoca inedite e, in appendice, le consuete ricette delle nonne della Saga “Occhi a candela”, Natalina e Incoronata, questa volta dedicate alle ore del Natale.

Co. Sta.

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