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domenica 13 ottobre 2019, di redazione
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Quando scriveva, Don Francesco Montesano perseguiva uno stile ricercato, forbito, prodotto della sua apprezzabile cultura, non limitata all’ambito ecclesiastico ma che spaziava volentieri anche in campi differenti. Del resto abbiamo avuto modo di constatare in precedenza di quanta considerazione godesse nei più disparati ambienti per la sua preparazione e quanto fosse desiderata la sua amicizia.
La produzione che abbiamo sotto mano è purtroppo limitata e non ci consente di fare delle considerazioni approfondite, ma possiamo rilevare che aveva sempre ambizioni storico-letterarie e si muoveva su un livello elevato.
Lo dimostrano le tre orazioni funebri e il discorso sulla bontà dei secoli cristiani, visti nelle puntate precedenti, e le ultime carte che ci accingiamo ad esaminare, relative a componimenti poetici e ad un dattiloscritto di 12 pagine, una sorta di affresco storico dai primordi dell’umanità fino ai tempi attuali (la metà del secolo scorso).
Il testo, senza data, forse scritto per essere declamato ai fedeli, è sprovvisto di titolo, cosa che gli potremmo attribuire noi in questi termini: “caduta e ascesa dell’uomo”, in un incessante rincorrersi dell’una e dell’altra, per opera di Lucifero, la prima, e grazie a Cristo, all’Immacolata e ai Santi, la seconda.
Don Francesco si affida anche qui a uno stile elegante, ricco di aggettivazioni e di costrutti che vedono il verbo quasi sempre alla fine del proprio segmento di influenza, posposto ad avverbi e a complementi oggetti, con apocopi diffuse (ne abbiamo contate, a scanso di errore, 222 in tutto il testo) che in alcuni punti risultano piuttosto tediose (Pel ciel le stelle emanaron lor grida: Vera luce abbiam, perché da Lui la riceviam; le bestie, fra loro concordi, dicevan fratelli siam perché unico Padre abbiam; voci ancor più armoniche, che da mirifici fior provenivan, molto ben esclamar s’udivan).
In questo modo egli spera e crede di dare un aspetto e un andamento poetico al suo scritto ricorrendo nel contempo ad espressioni, forme e lessico propri di una certa arte oratoria, magniloquente e solenne. Si rilevano frequenti inserimenti di termini letterari o desueti (agnati, servaggio, rapsoda, mirifici, sensivil (sic), immantinente, pugnavan, obnubilazione, cecuzienti, apocalittice (sic), ecc.) e non mancano, inoltre, alcune frasi latine come era d’uso nelle opere letterarie e nelle prediche del buon tempo antico.
Il suo intento di fare un quadro ampio, dettagliato, ricco di riflessioni edificanti, deve fare i conti con la brevità dell’elaborato e l’approssimativa organizzazione degli argomenti trattati. Così in alcune parti, soprattutto al principio, si rileva una certa oscurità.
Per dare maggior forza al discorso don Francesco lo arricchisce anche di alcuni versi, suoi e altrui. Vi si leggono, infatti, tre quartine (la prima di due decasillabi e due endecasillabi, la seconda di ottonari e la terza di settenari). A parte la metrica, esse potrebbero benissimo essere riunite in un solo componimento e, comunque, non sappiamo se fossero antecedenti o composte appositamente per essere inserite nel ‘saggio’.
Oltre alle quartine, ascrivibili a lui stesso, vi è un lungo frammento di John Milton, correttamente attribuito, tratto da Il paradiso perduto, probabilmente nella traduzione di Lazaro Papi, Milano, 1838. Da notare che dalla stessa opera don Francesco attinge due versi (“E quel coraggio che non mai s’abbatte, Che mai non si sommette”) utilizzati nell’orazione funebre per Francesco Parente.
Ma è tempo di sintetizzare il contenuto del documento che è possibile leggere integralmente nell’allegato.
Dopo il peccato originale la terra diventò buia per una nera cortina e senza vita. Un uomo si trascinava per il paradiso terrestre ormai smorto e all’improvviso udì una dolce voce proveniente da un fiore. Ad essa si rivolse chiedendo aiuto. Allora altre voci si aggiunsero alla prima, tutti gli animali terrestri e volatili e piante e fiori ripetevano all’unisono: non ti scordar di me. Ad essi si unirono gli spiriti alti che avevano resistito al demonio, “apportatore di falsa luce”.
Lucifero e compagni intensificarono la loro opera malvagia. Ne derivò una lotta cruenta al termine della quale la scura cortina che copriva la terra finalmente si aprì.
Da quel momento la luce entrò nel cuore di Adamo che si ritrovò nelle braccia del Creatore e si avvide che lui e la sua discendenza sarebbero risorti grazie al Figlio che era accanto al Padre e per intercessione della donna Immacolata.
Dopo questi iniziali avvenimenti la terra tornò a sorridere, passarono i secoli durante i quali i demoni non cessarono i loro tentativi e si videro in giro falsi profeti. Poi finalmente venne il Figlio di Dio, nato dall’Immacolata il cui culto si diffuse dappertutto e fu riconosciuta con atti ufficiali dalla Chiesa. Poi vennero tanti Agostini e Franceschi e Nicola che trovarono la voce di Dio in tutto il creato. Ma Lucifero, pur rimasto con pochi adepti, continua la sua lotta. Si susseguono squilibri più forti di quelli dei tempi di Adamo. l’Umanità vede i semplici e i puri disprezzati e derisi e i furbi apprezzati e osannati. Tuttavia è prossimo il tempo in cui i diavoli saranno annientati.
Come si vede l’argomento del lavoro è la lotta tra il Bene e il Male, cominciata con la caduta dell’uomo nel peccato e che finirà con la fine del tempo con il trionfo del Bene. Tutto sommato, questo scritto non si discosta, quanto a livello stilistico, dagli altri testi, in particolare le tre orazioni funebri che abbiamo pubblicato all’inizio di questa serie di articoli. E poiché ci siamo ripromessi di pubblicare il materiale che ci è pervenuto non possiamo non tenerne conto.
frates
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