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25 Aprile, 78° anniversario della Liberazione

lunedì 24 aprile 2023, di redazione


In occasione della festa della Liberazione proponiamo la lettura del discorso tenuto dal Presidente della Camera, Sandro Pertini, nella seduta del 23 Aprile 1970 per il XXV anniversario della ricorrenza.

PRESIDENTE. (Si leva in piedi e con lui i deputati e i membri del Governo). Onorevoli colleghi, sostiamo per ricordare il venticinquesimo anniversario della Liberazione.
Lungo è il cammino percorso dai patrioti italiani per riconquistare la libertà e questo cammino non ha soluzioni di continuità, perché la Resistenza, a mio avviso, non è un fatto storico a sé stante, ma è stata la continuazione della lotta antifascista. I patrioti che, sotto la dittatura, si sono battuti forti solo della loro fede e della loro volontà, partecipano alla lotta armata della Resistenza.
Qui vi sono uomini che hanno lottato per la libertà dagli anni ’20 al 25 aprile 1945. Nel solco tracciato con il sacrificio della loro vita da Giacomo Matteotti, da don Minzoni, da Giovanni Amendola, dai fratelli Rosselli, da Piero Gobetti e da Antonio Gramsci, sorge e si sviluppa la Resistenza.
Il fuoco che divamperà nella fiammata del 25 aprile 1945 era stato per lunghi anni alimentato sotto la cenere nelle carceri, nelle isole di deportazione, in esilio. Alla nostra mente e con un fremito di commozione e di orgoglio si presentano i nomi di patrioti già membri di questo ramo del Parlamento uccisi sotto il fascismo: Giuseppe Di Vagno, Giacomo Matteotti, Pilati, Giovanni Amendola; morti in carcere Francesco Lo Sardo e Antonio Gramsci, mio indimenticabile compagno di prigionia; spentisi in esilio Filippo Turati, Claudio Treves, Eugenio Chiesa, Giuseppe Donati, Picelli caduto in terra di Spagna, Bruno Buozzi crudelmente ucciso alla Storta.
I loro nomi sono scritti sulle pietre miliari di questo lungo e tormentato cammino, pietre miliari che sorgeranno più numerose durante la Resistenza, recando mille e mille nomi di patrioti e di partigiani caduti nella guerra di Liberazione o stroncati dalle torture e da una morte orrenda nei campi di sterminio nazisti.
Recano i nomi, queste pietre miliari, di reparti delle forze armate, ufficiali e soldati che vollero restare fedeli soltanto al giuramento di fedeltà alla patria invasa dai tedeschi, oppressa dai fascisti: le divisioni «Ariete» e «Piave» che si batterono qui nel Lazio per contrastare l’avanzata delle unità corazzate tedesche; i granatieri del battaglione «Sassari» che valorosamente insieme con il popolo minuto di Roma affrontarono i tedeschi a porta San Paolo; la divisione «Acqui» che fieramente sostenne una lotta senza speranza Cefalonia e a Corfù; i superstiti delle divisioni «Murge», «Macerata» e «Zara» che danno vita alla brigata partigiana «Mameli»; i reparti militari che con i partigiani di Boves fecero della Bisalta una roccaforte inespugnabile.
Giustamente, dunque, quando si ricorda la Resistenza si parla di Secondo Risorgimento. Ma tra il Primo e il Secondo Risorgimento vi è una differenza sostanziale. Nel Primo Risorgimento protagoniste sono minoranze della piccola e media borghesia, anche se figli del popolo partecipano alle ardite imprese di Garibaldi e di Pisacane. Nel Secondo Risorgimento protagonista è il popolo. Cioè guerra popolare fu la guerra di Liberazione.
Vi partecipano in massa operai e contadini, gli appartenenti a quella classe lavoratrice che sotto il fascismo aveva visto i figli suoi migliori fieramente affrontare le condanne del tribunale speciale al grido della loro fede.
Non dimentichiamo, onorevoli colleghi, che su 5 .619 processi svoltisi davanti al tribunale speciale 4 .644 furono celebrati contro operai e contadini.
E la classe operaia partecipa agli scioperi sotto il fascismo e poi durante l’occupazione nazista, scioperi politici, non per rivendicazioni salariali, ma per combattere la dittatura e lo straniero e centinaia di questi scioperanti saranno, poi, inviati nei campi di sterminio in Germania, ove molti di essi troveranno una morte atroce.
Saranno i contadini del Piemonte, di Romagna e dell’Emilia a battersi e ad assistere le formazioni partigiane. Senza questa assistenza offerta generosamente dai contadini, la guerra di Liberazione sarebbe stata molto più dura. La più nobile espressione di questa lotta e di questa generosità della classe contadina è la famiglia Cervi . E saranno sempre figli del popolo a dar vita alle gloriose formazioni partigiane.
Onorevoli colleghi, senza questa tenac e lotta della classe lavoratrice – lotta che inizi a dagli anni ’20 e termina il 25 aprile 1945 – no n sarebbe stata possibile la Resistenza, senza l a Resistenza la nostra patria sarebbe stata maggiormente umiliata dai vincitori e non avremmo avuto la Carta costituzionale e la Repubblica.
Protagonista è la classe lavoratrice che con la sua generosa partecipazione dà un contenuto popolare alla guerra di Liberazione.
Ed essa diviene, così, non per concessione altrui, ma per sua virtù soggetto della storia del nostro paese. Questo posto se l’è duramente conquistato e non intende esserne spodestata.
Ma, onorevoli colleghi, noi non vogliamo abbandonarci ad un vano reducismo. No. Siamo qui per porre in risalto come il popolo italiano sappia battersi quando è consapevole di battersi per una causa sua e giusta; non inferiore a nessun altro popolo.
Siamo qui per riaffermare la vitalità attuale e perenne degli ideali che animarono la nostra lotta. Questi ideali sono la libertà e la giustizia sociale, che – a mio avviso – costituiscono un binomio inscindibile, l’un termine presuppone l’altro: non può esservi vera libertà senza giustizia sociale e non si avrà mai vera giustizia sociale senza libertà.
E sta precisamente al Parlamento adoperarsi senza tregua perché soddisfatta sia la sete di giustizia sociale della classe lavoratrice. La libertà solo così riposerà su una base solida, la sua base naturale, e diverrà una conquista duratura ed essa sarà sentita, in tutto il suo alto valore, e considerata un bene prezioso inalienabile dal popolo lavoratore italiano.
I compagni caduti in questa lunga lotta ci hanno lasciato non solo l’esempio della loro fedeltà a questi ideali, ma anche l’insegnamento d’un nobile ed assoluto disinteresse. Generosamente hanno sacrificato la loro giovinezza senza badare alla propria persona.
Questo insegnamento deve guidare sempre le nostre azioni e la nostra attività di uomini politici: operare con umiltà e con rettitudine non per noi, bensì nell’interesse esclusivo del nostro popolo. Onorevoli colleghi, questi in buona sostanza i valori politici, sociali e morali dell’antifascismo e della Resistenza, valori che costituiscono la «coscienza antifascista» del popolo italiano.
Questa «coscienza» si è formata e temprata nella lotta contro il fascismo e nella Resistenza, è una nostra conquista, ed essa vive nell’animo degli italiani, anche se talvolta sembra affievolirsi. Ma essa è simile a certi fiumi il cui corso improvvisamente scompare per poi ricomparire più ampio e più impetuoso. Così è «la coscienza antifascista» che sa risorgere nelle ore difficili in tutta la sua primitiva forza.
Con questa coscienza dovranno sempre fare i conti quanti pensassero di attentare alle libertà democratiche nel nostro paese.
Non permetteremo mai che il popolo italiano sia ricacciato indietro, anche perché non vogliamo che le nuove generazioni debbano conoscere la nostra amara esperienza. Per le nuove generazioni, per il loro domani, che è il domani della patria, noi anziani ci stiamo battendo da più di cinquant’anni.
Ci siamo battuti e ci battiamo perché i giovani diventino e restino sempre uomini liberi, pronti a difendere la libertà e quindi la loro dignità. Nei giovani noi abbiamo fiducia. (…)
Ad essi vogliamo consegnare intatto il patrimonio politico e morale della Resistenza, perché lo custodiscano e non vada disperso; alle loro valide mani affidiamo la bandiera della libertà e della giustizia perché la portino sempre più avanti e sempre più in alto.
Viva la Resistenza ! (Vivissimi, generali, prolungati applausi).

***

DE MARTINO, Vicepresidente del Consiglio dei ministri: Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DE MARTINO, Vicepresidente del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Governo si associa alle nobili parole che sono state pronunciate testé dal Presidente di questa Assemblea: un uomo il quale, essendo stato tra le figure più nobili della lotta antifascista e della Resistenza italiana, testimonia nella sua opera diuturna la perennità di quei valori per i quali egli e tanti altri hanno sacrificato la loro esistenza.
Quelle parole ci hanno richiamato alla mente un periodo storico nella vita del nostro paese, nel quale l’insurrezione del 25 aprile costituì l’atto conclusivo di lunghe e tenaci lotte combattute contro il fascismo e per l’indipendenza della nostra patria, segnando nel contempo l’inizio di un’epoca storica nuova nella quale, sulle rovine del vecchio Stato, doveva sorgere la nostra Repubblica democratica, al cui fondamento sono posti quei valori così grandi ed umani che furono l’alimento della lotta antifascista e della Resistenza italiana. Il nostro Stato e la sua legittimazione storica, si compendiano in quei valori che essenzialmente si identificano nel binomio: libertà e giustizia, nel quale confluirono, durante la lotta antifascista e la Resistenza, i grandi filoni storici della concezione democratica del nostro popolo, da quelli che facevano capo al movimento operaio e socialista alla democrazia liberale, al movimento cattolico.
E la Costituzione sulla quale il nostro Stato è fondato racchiude in sintesi quei valori su cui sono stati edificati la nostra attuale società e il nostro ordinamento.
Io voglio assicurare al Presidente di questa Assemblea, a tutti coloro – e sono la grande maggioranza del paese – che sono rimasti fedeli a quei valori, che è impegno del Governo, in collaborazione stretta con il Parlamento, di testimoniare, nell’attività, nella legislazione, nelle iniziative rivolte a promuovere il progresso del paese, la sua intransigente fedeltà a quei valori e la sua volontà di difendere la democrazia contro qualsiasi minaccia e contro ritorni impossibili al passato.
In questi 25 anni abbiamo garantito al paese, tutti assieme, la libertà. Il nostro paese costituisce nell’Europa tormentata e nel mondo di oggi questo grande faro di libertà ed è motivo di onore per noi di vedere che uomini costretti all’esilio dai loro paesi dove impera la dittatura trovano in Italia fraterna accoglienza per esprimere la loro ferma volontà di lotta, di riscatto e di democrazia. Con questi intendimenti io voglio ancora una volta rinnovare l’adesione del Governo italiano alla manifestazione indetta dal suo Presidente ed il nostro fervido, cordiale saluto a un uomo che così nobilmente esprime quei valori. (Vivissimi, generali applausi) .

Dagli Atti Parlamentari della Camera dei Deputati

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