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Dagli antichi, ammonimenti per il presente

domenica 10 aprile 2016, di redazione


La corruzione, il malaffare, l’arrivismo, l’uso del pubblico per interessi personali sembrano sommergerci senza scampo. Colti con le mani nella marmellata, non si ha nemmeno il decoro di togliere il disturbo, anzi le malefatte sembrano diventate altrettanti titoli di merito. E l’inizio di una indagine a carico non viene proprio considerato come motivo di dimissioni perché fino a giudizio si è innocenti. Ma la politica non si deve reggere sul sospetto. Sono molto rari i casi di dimissioni volontarie. Come ha scritto Stefano Rodotà su Repubblica, manca “l’etica pubblica”. Non è fuori luogo, allora, rileggere qualche riga degli autori antichi, i quali ci insegnano che l’uomo pubblico (chiunque svolga una funzione che ha a che fare con gli interessi della collettività, quindi non solo, ma soprattutto, il politico) deve essere “al di sopra di ogni sospetto”.
Nella fattispecie leggiamo due versioni dello stesso fatto: l’ipotetico tradimento della moglie di Cesare.

Quando fu chiamato a testimoniare contro Publio Clodio, l’amante di sua moglie Pomponia, accusato, per la stessa ragione, di sacrilegio, dichiarò di non sapere niente, benché sua madre Aurelia e sua sorella Giulia, davanti agli stessi giudici, avessero detto tutta la verità. Quando poi gli chiesero perché mai avesse ripudiato la moglie, rispose: «Perché, a mio avviso, tutti i miei parenti devono essere esenti tanto da sospetti quanto da colpe”.

Svetonio: Vita dei Cesari

2 [Clodio] Trovò la porta aperta, fu fatto entrare tranquillamente da una giovane serva complice che corse ad avvertire Pompea. L’attesa fu lunga e Clodio non ebbe la pazienza di rimanere nel luogo in cui era stato lasciato; iniziò a vagare per la grande casa evitando le zone illuminate finché si imbatté in una serva di Aurelia che, credendo fosse una donna, lo invitò a divertirsi. Poiché egli rifiutava lo trascinò nel mezzo della stanza e gli domandò chi fosse e da dove venisse. 3 Clodio disse che attendeva la favorita di Pompea (si chiamava appunto Abra), ma la sua voce lo tradì. La schiava allora corse subito verso la zona illuminata dove si trovava la maggior parte delle donne, gridando, fra l’incredulità della compagne, di aver scoperto un uomo. […] L’indomani la notizia si sparse per la città; poiché Clodio aveva commesso un sacrilegio, era reo non solo nei confronti di quelli che aveva oltraggiato, ma anche della città e della dea. 6 Uno dei tribuni, allora, lo accusò di empietà; i senatori più influenti si unirono contro di lui e recarono testimonianza di altre terribili scelleratezze e di aver sedotto la sorella, sposa di Lucullo […] 8 Cesare ripudiò subito Pompea ma, chiamato come testimone al processo, disse che non sapeva nulla delle accuse contro Clodio. 9 Dal momento che la sua risposta apparve strana, l’accusatore chiese: «Perché dunque hai ripudiato tua moglie?». Egli ribatté: «Perché credo che non si debba neanche sospettare di mia moglie».

Plutarco, Vita di Cesare

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